Ieri ho preso il treno e sono andato a Torino, perché nella mia modesta cittadina di provincia, David Gilmour non era previsto. Da Ivrea a Torino il viaggio è una tratta che comporta un'ora di sguardi dal finestrino. L'occhio scorre sulla campagna piemontese quasi in tinta con il cielo grigio. Ma forse è solo l'effetto velenoso del cemento che si rosicchia vieppiù ogni fetta di verde.
Una volta nel capoluogo mi accorgo che quelli che se la passano male sono sempre più numerosi. C'è sempre più gente afflosciata sui marciapiedi a chiedere l'elemosina. Un clochard fantasioso, al posto del classico cane costretto alla questua, esibisce un orso di pelouche lungo più di un metro. L'orso se ne sta a pancia in giù con le 4 zampe divaricate. E' buffo e rende tutta la scena surreale e quasi divertente. Questo barbone sembra in gamba, deve avere una buona dose di autoironia.
Così dopo una discreta camminata entro al cinema, sala ipertecnologica con dolby stereo e quant'altro serve per gustare qualità del suono e immagini in 4K. Poi il concerto si apre, c'è l'anfiteatro di Pompei e la storia del rock sul palco. David Gilmour e il suo gruppo, con impressionante naturalezza, ci deliziano per due ore filate con la loro musica che ha qualcosa di planetario. Quello che Gilmour fa con la chitarra non si può descrivere nemmeno con la più osannante delle iperboli. Le sue dita sembrano ormai tagliate con l'accetta, dita avvizzite e ruvide come quelle di uno zappatore, ma ciò che ricavano dalle corde è miele nelle orecchie.
Alla fine, quando sei ben immerso nell'atmosfera e te ne staresti ancora lì per una decina di bis, il concerto finisce. Ritorno verso la stazione e risalgo sul treno. C'è aria di pioggia nell'aria e sui finestrini dove l'oscurità sembra caduta come una tenda.
Ripenso all'orso a pancia in giù che chiede l'elemosina. Probabilmente qualche goccia di pioggia gli sta cadendo addosso, presto assorbita dal panno lercio della sua pelle. Forse il barbone si accorge che piove, forse si alza, prende l'orso con sé e con lenta fatica si sposta altrove, cerca riparo sotto il portico. Davanti a lui scorre l'indifferenza del mondo. La città accende le sue luci, ma l'orso e il barbone vivono solo le sue ombre.
A casa, leggo su internet che David Gilmour è al 14 posto tra i chitarristi più grandi di sempre. Un talento artistico inarrivabile. Ho il suono della sua chitarra che vibra nella mia testa e sono ancora elettrizzato. Ma anche il barbone con il suo orso di pelouche ha il suo fascino. Il primo crea magie divine con la chitarra, l'altro trascina la sua follia lungo i marciapiedi; uno esplora la musica delle stelle, l'altro richiama la visione dal basso delle cose e vi trova dentro un sorriso.
Tutto questo sproloquio per dire: grazie Elena per la tua segnalazione altrimenti mi perdevo Gilmour e anche l'orso di pelouche steso nel nulla. Per me, indimenticabili entrambi.