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Spirits In The Sky

Aperto da COIO3, 03 Dicembre 2009, 17:04:19 PM

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COIO3

"Le sigarette.......", sospiro' piagnucolando, come parlasse di una persona a lui cara, di cui avesse appena appreso la triste dipartita.

"Quello stupido gorilla!", invei', mentre la "esse" gli sibilava in mezzo ai denti; "devo averle perse mentre ci allontanavamo....." concluse amareggiato.

Capi' immediatamente a quale gorilla si riferisse, rimasi invece interdetto sentendolo parlare di allontanamento.

Ricordavavo perfettamente come ci fossimo "allontanati" alla stessa velocita' con cui i protoni vengono sparati fuori da un tubo catodico; questa mi sarebbe sembrata una descrizione appropriata del nostro "allontanamento".

Gia sui banchi di scuola avevo cominciato a sospettare come la storia rispettasse non gia la veridicita' degli eventi che pretendeva di testimoniare, quanto piuttosto il punto di vista dello scrivano e piu' ancora quello del munifico mecenate.

Giudicai probabile che prima del tramonto faccia di gomma sarebbe andato in giro raccontando agli amici come le avesse cantate sul muso ad un'idiota palestrato, proprio quella mattina.

Giudicai probabile che avrebbe offerto un giro di birra agli amici per celebrare, anche lui, la sua vittoria, perche' la verita e' gratuita mentre, come tutti sanno, la fantasia e' a pagamento.

L'eco dei miei pensieri non si era ancora spenta nella mia mente quando senti' nascermi da "dentro" un'improvvisa necessita' di cacciarmi qualcosa in bocca, qualsiasi cosa fosse sufficentemente combustibile da potersi "accendere" ad un'estremita'.

E' stupefacende notare come prima della notizia dell'avvenuta perdita non avrei pensato a fumare una sigaretta piu' di quanto non avrei pensato a risolvere un'equazione di Lagrange.

Faccia di gomma pareva fosse impegnato nello stesso stupefacente processo mentale perche' lo vidi infilarsi in bocca due delle tre falangi del dito indice della mano destra, assumendo un aspetto pensieroso.

Dopo qualche istante si tolse il dito dalla bocca, deformando il viso in una smorfia di disgusto (lo credo bene) e lascio' scivolare la mano in direzione della tasca corrispondente.

Senza pensarci un attimo lo informai: "Non ti basteranno!".
Senza pensarci un attimo mi confermo': "Vero! non bastano".

Parlavamo degli spiccioli, i miei spiccioli che disonestamente teneva segregati nel suo taschino.

Calcolare istantaneamente i denari anche senza vederli, solo semplicemente pensando ai beni o ai servizi che essi stessi potevano pagare, era per noi un dono innato e, tutto sommato, diffusissimo fra le nostre genti.

Non staro' a tirarla tanto in lungo; a quei tempi frugando dentro i calzini della popolazione maschile lo stato avrebbe recuperato risorse sufficienti a pagare un'intera manovra finanziaria.

A quei tempi nessun maschio si sarebbe accontentato di avere un solo asso, nei calzoni, tutti ne volevano uno anche nella manica, da tirare fuori all'occorrenza.

Nascondevamo i soldi nelle calze per barare, per sorprendere, cosi' come "Nick manolesta" sbaragliava gli altri giocatori allargando sul tavolo il suo poker, mentre gli assi legittimi riposavano ignari nel mazzo.

Avevamo, tutti indistintamente, la testa piena di fotogrammi e di colonne sonore.

Visto che conoscevo il finale di quel film, gli posi una mano sulla spalla per aiutarlo a non cadere, gli sapevo le fette piatte come il Tirreno sotto la sferza dello scirocco.

"Vediamo di risolverla 'sta cosa" dissi con tono di voce per quanto possibile persuasivo.

"Tira fuori, dai!" lo incoraggiai con fermezza non scevra da una certa perentorieta', vedendolo fissarmi titubante, come fosse assorbito da un ponderoso calcolo mentale.

Sostenedo il mio sguardo, come una gru, l'uccello intendo, che cerchi il meritato ristoro del sonno, si persuase ad alzare la gamba destra e, abbassando la mano monda di peccato, la sinistra, comincio' ad armeggiare con il mocassino, all'altezza del calcagno.

I calzini, deboli d'elastico, non avrebbero potuto trattenere nulla, si ripiegavano in artistiche volute, all'altezza delle caviglie.

Senza staccare i suoi occhi dai miei, il folle riusci' a togliersi la scarpa che precipito' al suolo emettendo un singhiozzo sordo, quasi esprimesse sollievo, cosi' mi parve di poter interpretare.

Venimmo immeditamente circondati da una debole nebbiolina giallastra che puteva di Maiorchino di montagna, al giusto grado di maturazione.

Mi preparai mentalmente e fisicamente all'aggressione.

Non avevo nulla da rimproverargli, con quel caldo, dopo quella galoppata; quanto alla natura stessa dell'aggressione, in tutta onesta' non avevo proprio nulla da invidiargli.

L'untore comincio' a denudare l'orrida zampa.

Il calzino aderiva tenacemente alla pelle umidiccia; quel'avvelenatore lo tiro' via con un movimento lento e misurato che faceva pensare ad un erpetologo che scuoiasse un boa constrictor, putrefatto.

Lascio' cadere al suolo il calzino che vi si adagio' rimanendo in piedi, mantenendo inalterata la sua forma seppur afflosciandosi all'altezza della caviglia.

Da Est, dal mare, si levarono prepotenti strida che ricordavano i lamenti funebri con i quali le belle Troiane piangevano i propri soldati morti, scarmigliandosi sulla soglia delle porte scee.

Ebbi un leggero mancamento dal quale mi ripresi in tempo utile per seguire l'evolversi della situazione.

Appiccicata a quella che avrebbe dovuto essere l'arcata plantare di faccia di gomma, aderiva una striscia di carta grigia che dava l'idea di poter essere una banconota ripiegata piu' volte su se stessa.

Mi porto' alla mente l'immagine di una fetta di prosciutto appiccicata ad un tramezzino imburrato.

Operando con le unghie di indice e pollice gli riusci' di tirar via quell'orribile francobollo dalla raccapricciante estremita'.

"Tienimi!" mi grido', mentre cercavo di allontanarmi, in preda ad un irrefrenabile disgusto.

Poi, dovendo ricoprire il cadavere appena esumato, guardandosi bene dall'affidarmi quella "cosa" che io, peraltro, mi sarei guardato bene dal prendere in affido, se la spinse sul dorso della mano sinistra e quella, orribilia visu, vi rimase attaccata.

Recupero' il calzino e se lo infilo' al piede, o per meglio dire, lo calzo' come fosse una vecchia pantofola; quindi infilo' la punta della zampa nel mocassino e comincio' a ruotare il tallone come se schiacciasse una blatta; il mocassino reagi' con un gemito' esausto e alla fine si rassegno'.

"Bene, adesso abbiamo di che fumare" volle informarmi, regalandomi uno sguardo odioso, come di chi sia appena riuscito a vendicarsi di un torto precedentemente subito.

Si scollo' la banconota dal dorso della mano e, dopo averla spiegazzata me la sventolo' sotto il naso, orrido vessillo della sua stessa perfidia.

Io arretrai, tirando via il capo con raccapriccio, appena in tempo per vedere uno stormo di rapaci gabbiani che si precipitava su di noi.

Li vidi remare controvento con le ali per arrestare la corsa; poi li vidi librarsi sui nostri capi come fossero interdetti; ad un certo punto, convinti fossimo stati noi ad occultare la carogna che erano venuti a spolpare, cominciarono a darsi di voce e qualche scagazzata intimidatrice comincio' a venir giu, quasi con indolenza.

Convinti com'eravamo di star per subire una doccia non prevista ci scambiammo uno sguardo d'intesa e attaccammo quella che all'occhio dei profani volatili doveva sembrare una fuga per la salvezza.

Ci fermammo dopo venti metri esatti ed invertimmo il senso della corsa; gli stolidi pennuti, tratti in inganno, avevano gia "mollato" il loro carico di lordura che precipito' al suolo imbrattando l'asfalto, gia lordo di suo.

Tornarono a librarsi sui nostri capi e, dopo averci aspramente rimproverato con striduli versi, si allontanarono tornando alle ineffabili sabbie che offrivano il fianco alle acque dello stretto.

Magnanimamente indicammo loro la strada, puntando al cielo i nostri pugni destri, chiusi, dai quali lasciavamo che emergesse il dito medio, eretto ed ammonitore.

Quanto e' vero che la natura e' maestra!

Tenetevi lontani dalla pazza folla, lasciategli il tempo di sfogare la propria pazza rabbia, e la vedrete disperdersi, la vedrete disgregarsi in un numero imprecisato di idioti che se ne tornano a casa con le pive nel sacco.

Ripresi i sensi che ancora il bieco avvelenatore mi sventolava sotto al naso quella fetta di gorgonzola color grigio perla.

Poi, constatando che tenevo gli occhi fissi nel vuoto, mi rivolse uno sguardo incuriosito come se mi vedesse per la prima volta.

Comincio' a pungolarmi con la punta delle dita, come se fossi una strana bestia immobile e lui volesse accertarsi se fossi vivo o meno.

"Oh!, ...... Oh!", ripeteva mentre continuava a sollecitarmi la spalla sinistra con le dita.

Abbassai lo sguardo e mi avvidi che fra l'indice e il pollice della mano con cui mi pungolava teneva stretto il fetido frammento filigranato.

"Toglimi da sotto al naso quella porcheria" protestai, arretrando di un passo, "o finiro' per sentirmi male sul serio!".



Police

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COIO3

#31
"Bentornato!" esclamo' Iachino, come se mi stesse portando il caffe' a letto di primo mattino; poi mi chiese se mi capitasse spesso di dormire in piedi come i cavalli, ad occhi aperti come i vampiri.

Mi resi conto di essermi "assentato" per qualche secondo sicche', non facendo caso al suo sarcasmo, mi affrettai a raccontargli di come avessi "visto", con gli occhi della mente, dei gabbiani seriamente intenzionati a scagazzarci sulla testa.

"Scagazzarci in testa?" domando' cogitabondo faccia di gomma, tamburellandosi il mento con l'unghia del dito indice, fingendosi clinicamente interessato al mio caso.

"Sarebbe interessante sapere cosa ne penserebbe Freud di queste "tue" attivita' oniriche", concluse, come se lo domandasse a se stesso.

Non mi e' mai piaciuto l'eccesso di ironia e di sarcasmo, in special modo quando non sono io ad esercitarlo su qualcun'altro.

Fingendomi entusiasta, mi compiacqui del suo interessamento, se non altro perche', spiegai, nel mio sogno i gabbiani intendevano scagazzare anche la "sua" testa e, sempre nel mio sogno, come al solito, lui riusciva a correre comunque piu' veloce di me.

Con aria di sufficenza Iachino mi consiglio' di astenermi dalle droghe pesanti, "bacco e tabacco sono gia piu' che sufficenti per un maschio adulto di corporatura media" sentenzio', pesando la mia figura con sguardo di ostentata commiserazione.

Avrei lasciato estinguersi quell'inutile battibecco se non fosse che il perfido ciarlatano aveva volontariamente escluso l'ultimo termine dalla triade della depravazione, quella venere a cui tanto tenevo, per inclinazione naturale, come lui ben sapeva.

Ribattei piccato che, a mio avviso, aveva sorbito la sua ultima birra troppo in ritardo perche', avesse avuto in bocca saponine oppure oleofine, qualunque cosa fossa era riuscita a raggiungergli le estremita' inferiori producendo effetti perniciosi per la salute umana, ne ero testimone vivente, seppur ancora leggermente allucinato.

Conclusi suggerendogli di non scalzarsi in presenza di cardiopatici, diversamente si sarebbe ritrovato a dover rispondere della sua scelleratezza in corte d'assise.

Faccia di gomma approfitto' della mia esagitazione per far mostra di una classe e di una dignita' di comportamento che era lungi dal possedere.

Con finta signorilita' volle troncare il discorso e, porgendomi la biascicata millelire, ordino' "EmmeEsse", come se ordinasse "vino della casa" restituendo la lista al sommelier di un ristorante a quattro forchette.

"Non toccherei quella porcheria neanche se me la presentassi in fotocopia!" profferi', indignato per l'oscena proposta.

Il balordo dispiego' la banconota come se volesse stirarla, poi se la infilo' fra il pollice e il medio della mano destra, in ultimo la blocco' spingendola in basso con il dito indice, facendola assomigliare ad una sassola.

Sorridendo idiotamente fece un gesto con la mano, come se volesse raccogliere granaglie da un sacco di iuta con quel cucchiaio improvvisato, e comincio' a cantilenare invitante: "Sigarettine?"

Ci trovavamo nel bel mezzo del viale giostra, sgombro di vetture, disperatamente ingolfate nella stradina che portava al policlinico.

Avevamo due tabacchini a cui poter accedere, uno all'angolo apposto dello stadio, l'altro, piu' vicino, a poche decine di metri dall'ingresso del nosocomio.

Iachino non poteva fisicamente avvicinarsi al tabacchino che ci era piu' prossimo, contemporamente si rifiutava di percorrere tutta la strada che ci avrebbe condotto all'altra rivendita.

Io non avrei avuto difficolta' alcuna a fare il giro dello stadio, in ogni caso avrei preferito disertare il tabacchino a cui faccia di gomma non poteva neanche avvicinarsi, in ultimo mi rifiutavo categoricamente di mettermi in mano quella porcheria a corso legale.

"Andiamo" dissi incoraggiante, "sono solo cinquecento metri, duecentocinquanta ad andare e duecentocinquanta a tornare".

"Vai e compra 'ste sigarette, qui all'angolo" insistette Iachino, "non c'e' motivo di scarpinare per mezzo chilometro, con questo caldo!".

Che mezzo chilometro corrispondesse al millimetro a cinquecento metri lo sapevamo entrambe tuttavia, a livello psicologico, il chilometro pesava molto piu' del metro, fra essi vi si poteva ravvisavare la medesima distanza che corre fra l'epiteto "cornuto" e la locuzione "sfortunato in amore".

Ci impegnammo per qualche minuto in quella singolar tenzone, gesticolando ognuno per proprio conto, ciascuno indicando una direzione opposta a quella indicata dall'altro.

Presagivo sarei uscito sconfitto da quella disputa sapendomi tendenzialmente giudizioso e sostanzialmente remissivo.

Iachino, diversamente da me, era naturalmente incline ad esercitare la propria volonta' esasperando i propri antagonisti, fiaccandone le resistenze non vi sed saepe cadendo.

Mentre continuavo a opporgli quella che ai suoi occhi doveva sembrare un'inusitata ostinazione, inusitata trattandosi di me, faccia di gomma, sentendosi montare la fregola del tabagista, volle risolversi ad un gesto che, a suo giudizio, avrebbe troncato ogni mia ulteriore resistenza.

Mentre si sbracciava si era accorto egli stesso come la fetida banconota gli rimanesse appiccicata alle dita, ora al pollice ora all'indice, in modo da contraddire le piu' elementari leggi della fisica; uno spettacolo repellente, ad assistervi a breve distanza.

All'improvviso tacque; rivoltato il lembo inferiore della camicia si diede a lustrare la bonconota che, intrisa d'immonde secrezioni, resisteva al trattamento contorcendosi come argilla pesante all'ugello dell'estrusore.

Terminata l'operazione di pulizia tese il braccio lontano dalla propria persona e, tenendo la mille lire appesa come un quarto di manzo al gancio del macellaio, guardandomi fisso negli occhi, apri' le dita.

La banconota scivolo' verso il basso, per qualche centimetro, prima di cadere vittima della leggera brezza primaverile che dal mare spirava verso i monti, brezza che comincio' a sospingere il lucido foglio imprimendogli un movimento incerto ed ondeggiante, imprevedibile per portata e direzione.

Chiunque abbia poche risorse da spendere matura istintivamente un sacro rispetto per il denaro, lo coccola, se ne prende cura e lo custodisce come si fa con i cuccioli della propria specie.

Disfarsi del denaro senza ricavarne frutto alcuno, dilapidarlo senza rispetto ne soggezione, aveva alla luce del mio buonsenso la stessa criminale valenza del vilipendio ad una qualche forma di religione, era come infrangere un tabu'.

Non fu per debolezza d'animo ne per cupidigia di beni materiali che persi la sfida lanciatami dallo scellerato scialacquatore.

Non c'e' una grossa differenza tra il remissivo ed il prepotente, fra lo sconfitto e il vincitore, se non una maggiore rapidita' di pensiero del primo, una piu' rapida  acquisizione di consapevolezza riguardo l'inutilita' nel sostenere ogni tipo di lotta.

Persi lo scontro per una sola frazione di secondo.

Se solo mi fossi impedito di pensare alla stupidita' del gesto compiuto da quel senzadio, egli stesso si sarebbe messo a rincorrere la banconota, come un cane della prateria dietro ad una lepre selvatica, proprio l'istante successivo a quello che impiegai io per afferrare al volo l'orfanella vagante.

Puzzava terribilmente tuttavia la ripiegai e me la infilai in tasca, incamminandomi in direzione del tabacchino sito in prossimita' del policlinico.

"Andiano!" ordinai con tono autoritario a faccia di gomma che, peraltro, si era gia incamminato.

"Curnutu!" lo gratificai.

Lo "sfortunato in amore" mi sorrise, a bocca stretta, come gatto silvestro davanti alla gabbietta del canarino, vuota.




Tears For Fears

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COIO3

Ben prima che io nascessi Rocco XXX gestiva una rivendita all'ingrosso di sale marino; la rivendita era sita nella stradina che qualche anno appresso avrebbe ospitato la rampa d'accesso al Policlinico Universitario.

Morto Rocco, prematuramente come usava all'epoca, la rivendita passo' nelle mani del figlio primogenito il quale seppe manovrare in modo da dotarsi, nel giro di pochi mesi, di una insegna nuova di zecca che lo autorizzava alla rivendita di sale e tabacchi.

Pur rinunciando a vendere sale gli affari del giovane andavano a gonfie vele tuttavia non gli riusci' mai d'arricchirsi, complice la completa dedizione alle sale corse e al lupanare.

In breve tempo il figlio della buonanima di Rocco si vide affibiare, a pieno merito, il nomignolo di "Ianu pediIpoccu", Sebastiano il libidinoso.

Iano gesti' la rivendita per quasi trent'anni, fino al giorno in cui un colpo apoplettico non lo diosarciono', proprio in dirittura d'arrivo, mentre correva il suo ultimo gran premio nell'ippodromo "Za' Maria, soddinnai?", da zia Maria si paga in anticipo, sito in un vicolo della zona industriale.

Nel giro di quattro settimane Sebastiano si ritrovo' in un letto del "Pio Ricovero del Lacero e del Ramingo" mentre i parenti intascavano il ricavato della vendita della licenza.

Alessandro XXX parti' per Milano poco piu' che ventenne e ivi rimase per poco piu' di trent'anni lavorando come tipografo al capezzale delle rotative che stampavano un quotidiano a diffusione nazionale.

Dalla sua permanenza milanese Alessandro ricavo' un reddito "sicuro", una moglie florida e vivace come una "mandragora officinarum", una figlia appartenente alla stessa specie botanica della madre, se si esclude un solo particolare anatomico.

Il nostro eroe era un lavoratore indefesso e coscenzioso tuttavia la moglie, anch'essa oriunda dell'isola, aveva una testa degna del piu' capace "cummenda"; cominciando come lavascale, sapendo fare, nel giro di dieci anni si ritrovava a gestire una fiorente impresa di pulizie.

Quando fu chiaro che tutto il piombo che Alessandro maneggiava avrebbe finito per portarlo anzitempo nel regno delle tenebre, la moglie liquido' l'impresa e si trascino' dietro il marito giu nelle terre natie affinche' si godesse la meritata pensione, almeno per qualche anno.

Alessandro, condannato all'inattivita', dava segno di poter morire di noia sicche' la moglie decise di comprare la licenza del libidinoso, trovando modo cosi' di impiegare anche l'unica figliola che Alesandro era stato capace di regalargli, prima che il piombo gli scaricasse le cartucce.

Per specifico desiderio d'Alessandro il tabacchino comincio' a vendere anche giornali e riviste.

Alessandro rinaque a nuova vita sebbene segnato dal precedente usurante lavoro; dopo qualche tempo la voce popolare gli affibbio' il nomignolo "Lisciandro dormi-dormi", Alessandro il contemplativo.

La figlia dimostro' presto di possedere le medesime doti imprenditoriali della madre e la rivendita comincio' a prosperare.

Del proprio intero corredo cromosomico il povero Lisciandro riusci' a trasferire alla figlia il solo gene risultante dalle migliaia di litri di latte che, per contratto, era costretto a sorbire sul posto di lavoro.

In breve tempo la voce popolare affibbio' alla ragazza il nomignolo "Rosa Latteria", Rosaria la prosperosa.

Giusto per capirci, per misurarla tutta un metro da sarto non sarebbe bastato, come avemmo modo di calcolare, a occhio e croce, io e Iachino la prima volta che entrammo nel tabacchino per far rifornimento di "bionde".

In quell'occasione io mi diressi in fondo al locale per consultare le riviste, Iachino si incarico' di prendere le sigarette.

Passando buttai un occhio alla tabaccaia e per poco non mi strozzai.

Quella creatura aveva un decollete' prodigioso, ci si sarebbe potuto apparecchiare per quattro, compreso menu e cestello dei vini; era la copia esatta della celeberrima tabaccaia dell'immortale maestro, col favor degli anni verdi.

Con modestia riusci' a chiudere la bocca che mi si era involontariamente spalancata e mi diedi a sfogliare riviste controllato dall'occhio vigile del silenzioso e cogitabondo Lisciandro.

Iachino senza guardare la tabaccaia negli occhi, non ci sarebbe riuscito, comincio' a farle perdere tempo domandandole che tipo di sigarette avrebbe potuto comprare con la banconota che aveva a disposizione.

Ovviamente avrebbe potuto comprare qualsiasi pacchetto di qualsiasi marca tuttavia, sovrastato da quella "mora" portentosa, non riusciva proprio a concentrarsi su delle banalissime "bionde", come mi confesso' in seguito.

Qualche secondo piu' tardi, mentre leggevo i titoli di una rivista, udi' chiaramente la Rosa esclamare, indignata: "PORCO!" 

L'istante successivo si verifico' quella che puo' essere definita un'esplosione di movimento; fu come se qualcuno avesse introdotto un topo vivo in un rettilario affollato.

Avverti' uno spostamento d'aria e mi accorsi che i giornali cominciavano a svolazzare per aria con movimenti circolari.

Mi avvidi del fatto che Iachino cominciava a correre, a scappare per meglio dire, inseguito dal mutangolo Lisciandro che per l'occasione sfoggiava sul volto plumbeo un'espressione luciferina.

Raggiunsi il marciapiede e vidi che faccia di gomma aveva acquisito un notevole vantaggio sull'inseguitore che, dal canto suo, cercava di accorciare le distanze lanciandogli dietro una ponderosa copia dell'almanacco di Frate Indovino, in confezione blisterata, che per poco non trancio' di netto l'orecchio sinistro di quel suino da corsa.

Il sonnolento rientro' alla base dopo aver recuperato il volume che, ad una prima analisi visiva, non sembrava aver subito danni dal trattamento inflittogli.

La tabaccaia, vera figlia di madre, intasco' la banconota orfana senza dare nulla in cambio, ne io mi azzardai a rivendicare alcunche' visto che nessuno mi aveva riconosciuto come compare di quel laido fuggiasco.

Iachino, che ritrovai intento a blandire una giovane infermiera nei pressi del pronto soccorso, dichiaro' che non avrebbe mai piu' frequentato quella rivendita.

Sgattaiolando fuori dal locale, ancor gravido di tensione, avevo lanciato uno sguardo in tralice alla disonesta banconista e l'avevo sorpresa a guardarmi con una espressione che somigliava a quella che esibivo io quando sbirciavo le ragazze in palestra, al liceo; ne rimasi turbato.



Amy Irving

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COIO3

Mi recavo malvolentieri in quel tabacchino.

C'era sempre la fila per comprare le sigarette; la gente metteva i soldi sul bancone e poi indietreggiava di un passo per comprendere appieno tutta l'opulenza della spettacolare tabaccaia, opulenza che per essere abbracciata interamente avrebbe richiesto il cinemascope.

Quelle poche volte che ero costretto ad entrare in quella rivendita tenevo un attegiamento irreprensibile, ben sapendo cosa si sarebbe potuto scatenare qualora la pettoruta avesse anche minimamente potuto male interpretare le mie intenzioni.

Eppure, in qualche modo, per qualche oscuro motivo, la mia modestia sembrava offendere la ragazza che non mancava mai di lanciarmi sguardi ostili, apostrofandomi con toni verbali tali da indisporre qualsiasi maschio, pur pronunciando esclusivamente i pochi monosillabi inerenti al completamento della transazione finanziaria.

Entrai nel tabacchino, mi fermai davanti al banco e guardando in alto indicai fra gli innumerevoli pacchetti cellofanati la fila che garantiva la qualita' del tabacco delle puglie.

"Emme esse" pronunciai in tono asciutto, "il pacchetto da venti", precisai come se, potendo scegliere fra confezioni di vario taglio, avessi preferito ripiegare sulle classiche venti che, ancora oggi, ritengo siano la dose perfetta per un tabagista non particolarmente arrabbiato.

La tabaccaia, come si dice in questi casi, non se ne dette per intesa, e rimase immobile a fissarmi.

Abbassai lo sguardo e incatenai i miei occhi dentro i suoi, ferocemente determinato a non procedere oltre; mi avvidi che mi offendeva con un'espressione dubbiosa sicche' infilate due dita in tasca ne trassi fuori la banconota ancor umidiccia.

Quella millelire puzzava tanto da disgustare; il cigno di busseto vi giaceva mostrando uno sguardo spento e senza vita; fu l'unico giuseppeverdi fisicamente morto che potei mai vedere su una millelire; quella banconota era una lapide a tutti gli effetti, mancava solo l'epitaffio.

Nell'istante stesso in cui posavo la millelire sul banco mi assali' la paura che potesse rimanermi appiccicata alle dita.

Con gesto risoluto allungai la mano sinistra e mi impadroni' di una scodella d'ottone lucido che, accanto alla cassa, agevolava lo scambio di monete spicciole, e la piazzai sul foglio da mille, per bloccarlo al suolo.

Ritirate entrambe le mani feci in modo da regalare uno sguardo di sfida alla malfidata pettoruta.

Questa presa la banconota se la porto' al naso e volle informarmi che quella "cosa" puzzava di grasso rancido di gobba di capodoglio morto; "morto da un bel pezzo", concluse.

Si espresse in perfetto italiano, lo stesso usato dalle annunciatrici alla tv; questo mi indusse a domandarmi dove cacchio mai avesse potuto vedere un capodoglio morto una che era nata e cresciuta, e quanto, in mezzo alla pianura padana.

Producendomi in uno sguardo da ebete non le diedi il tempo di aggiungere altro e rinnovai la mia richiesta con un tono di voce neutro; finalmente, rifiutandosi di discutere con un idiota, quella si decise a prendermi l'agognato pacchetto.

Notai un lampo di indecifrabile malizia nei suoi occhi mentre si voltava, allungando il braccio verso gli scaffali.

La tabaccaia si mise in mano il pacchetto, raacimolo' un certo numero di monete da darmi di resto e poi, invece di consegnarmi la merce e il denaro, si piego' su un fianco appoggiando il gomito sinistro al bancone e accomodando il mento dentro il cavo della mano.

Lascio' spiaggiare i suoi capodogli sul bancone poi, sorridendo beffarda, come una gabianella che sia riuscita a sgraffignarti il muggine dalla lenza proprio quando l'avevi tirato in secca, poso' monete e sigarette in un mucchietto proprio sulla battigia, a meta' strada esatta fra Scilla e Cariddi.

Infilo' il pollice destro nel passante della cintura e conficco' i suoi occhi scuri dentro i miei occhi chiari.

Negli ultimi giorni della mia infanzia, ricordo, mi si paro' davanti una ragazzina con la quale ero solito giocare; mi mostrava orgogliosa il suo splendido vestitino nuovo.

Era un vestitino da femminuccia che non assomigliava per niente agli abiti che lei stessa era solita indossare per correre, saltare, azzuffarsi, rotolarsi per terra e, perche' no, alla bisogna fare a botte con noi maschi; dalle mie parti, a quei tempi, le ragazzine picchiavano duro.

Vedendola agghindata con tanti fiocchi e tanti nastrini mi lasciai scappare: "brava scema! come farai a giocare senza sporcarti?".

Puo' darsi che la bambina non volesse affatto giocare quel pomeriggio o puo' anche darsi che fossi io a non capire a che gioco stesse giocando lei in quel preciso momento.

Mi trafisse all'istante con uno sguardo carico di disprezzo, e da quel momento in poi non mi rivolse mai piu' la parola, neanche' quando in seguito gli capito' di picchiarmi, duramente, nel mezzo di una rissa, organizzata alla buona, fra noi bambini.

Tornai con la mente all'indisponente tabaccaia; sarebbe bastato allungare una mano per portar via quello che era gia mio ma rischiavo di infrangere le mie dita contro i suoi promontori o, peggio ancora, avrei potuto involontariamente sfiorare i suoi fari di segnalazione.

Abbassai lentamente lo sguardo sul suo viso di ragazza qualunque e notai al suo collo una robusta catenella d'oro; qualunque cosa fosse appesa a quella catenella era ormai precipitata dentro al fiordo che, sia pur decorosamente coperto, rivelava la sua profondita' stante la maliziosa postura.

Non riusci' ad abbracciare per intero, con un solo sguardo, le due coppe che celebravano la sua vittoria.

Indugiai per il tempo strettamente necessario a raccogliere la mia roba poi, alzai lo sguardo e la fissai, dentro i suoi occhi scuri, per un ultimo istante.

Usci' senza salutare, avevo pagato per quello che mi ero portato via.




Il Guardiano Del Faro

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Watson

I miei complimenti  (appl)

Interessante come si evolve il racconto, ti fa venire molta sete  (birra) non pensavo che esistesse una sindrome post-scagliozza  ;D

Mi permetto di postare qui di seguito due puntate di questa lunga telenovelas Peloritana, perchè per cause non dovute alla sua conoscenza storica della musica, per qualche oscuro motivo i brani selezionati sono stati sequestrati (police)


Con la presente le auguro una lunga permaneza tra queste pagine e una vita millenaria al suo interessante racconto musicale  (abbraccio)
W la vita

"non postare" è un pregio se ci si accorge di non avere nulla da dire, ma non tutti se ne accorgono. [Magomerlino]  La vita dura poco, se non giochiamo ora...  Watson nel cuore Gaia felicemente... tra i piedi

Watson

Citazione da: krasni dvalòsciadi - 20 Dicembre 2009, 18:51:12 PM
Una volta usciti dalla struttura, mescolati tra la folla, l'infame bontempone sembro' recuperare subitaneamente e per intero il suo inestinguibile buonumore.

Osservo' come la mia deambulazione apparisse scoordinata e vagamente "dilatata".

"Non ti preoccupare" mi conforto', spiegandomi che non appena le teste dei miei femori avessero ritrovato la propria sede naturale avrei recuperato la piena funzionalita' degli arti inferiori nonche' una postura "maschiamente dignitosa".

Di solito mi risultava gradevole il suo umorismo signorile e raffinato ma in quell'occasione lo trovai oltremodo indigesto.

In primo luogo perche' realmente avvertivo dei dolori articolari, come se fossi appena sceso dal lettino del ginecologo; in secondo luogo perche' quella scimmia lasciva non sembrava avesse sofferto granche' a causa del galoppo sfrenato a cui ci eravamo sottoposti.

Mi voltai inviperito domandandogli che fine avrebbe fatto la sua, di mascolinita', se per caso il bruto urlante fosse riuscito a rettificargli il collettore di scarico, come prometteva di fare.

Gli rinfacciai inoltre come non mi sembrasse molto virile il fatto che per correre piu' velocemente si fosse tirato il camice sui fianchi, come fosse stato una vecchia comare che tentasse di preservare la propria illibatezza dalla libidine violenta di un carrettiere ubriaco.

Forse fu l'immaginare la scena che cosi' pittorescamente avevo appena  descritto o forse fu proprio la tensione nervosa che andava allentandosi, fatto sta che cominciammo a ridere, in un primo momento sommessamente, a bocca stretta, poi via via sempre piu' sgangheratamente per finire in un parossismo di ilarita' che ci procurava l'irrefrenabile stimolo alla minzione spontanea.

Dopo qualche minuto, per il gran ridere, fummo vinti da un intenso dolore addominale che, tormentandoci le viscere, ci costrinse a ritornare seri, appena in tempo per riportare a case le brache asciutte.

Massaggiandosi l'addome dolorante quell'emerito discepolo d'Ippocrate sentenzio' che si rendeva necessario un intervento di natura omeopatica; a suo dire, volendo curare il simile con il simile, nulla si sarebbe dimostrato piu' efficace di una ricca padellata di roba fritta; una birra "bella fresca" avrebbe aiutato i succhi gastrici a portare a termine il lavoro.

A quel tempo non sapevo nemmeno di averlo il fegato sicche' la proposta di una frugale colazione di mezza mattina mi trovo' pieno di famelico entusiasmo; ci vuotammo le tasche, frugandoci l'un l'altro, amichevolmente, e risulto' che lui aveva abbastanza spiccioli per affrontare la faccenda legalmente.

Non era un'idea brillante quella di recarsi in una friggitoria avendo i soldi contati ma, come tutti sanno, c'e' un'eta' per la saggezza cosi' come c'e' un'eta' per le disfunzioni erettili; noi non avevamo l'eta' per preoccuparci dei soldi cosi' come non ci preoccupavamo di qualsivoglia altra disfunzione, d'altronde non v'e' chi non sappia ...........

Attraversammo la strada diretti alla "Meson della Scagliozza", scritto proprio cosi', all'angolo ovest dello Stadio Comunale.

Il fatto che il Policlinico Universitario fosse stato edificato a pochi metri dallo Stadio Comunale non deve sorprendere.

Ai tempi in cui le strutture furono edificate la gente era solita camminare a piedi sicche' il viottolo interpoderale che garantiva l'accesso ad entrambe risultava piu' che adeguato; in ogni caso le strutture giacevano, e continuano a giacere, sulle opposte e distanti sponde dell'ampio torrente Gazzi (si chiama proprio cosi', io non ne ho colpa, e comunque si pronuncia con la zeta dolce).

Nei tempi andati la "Meson" era una friggitoria semovente ricavata nella struttura di quello che appariva essere il celeberrimo "Leprotto OM"; cosi' si poteva dedurre osservando il fiero ghigno espresso dalla griglia del radiatore.

Si trattava di uno di quegli infaticabili mezzi che venivano ridotti all'osso girando, per il lungo e per il largo, l'operosa pianura padana; una volta che fossero stati radiati dal parco circolante i suddetti mezzi vivevano una seconda giovinezza qualora la sorte, o chi per lei, gli avesse fatto imboccare la "Salerno-Reggio Calabria", imboccare in direzione sud, ovviamente.

Potevo ancora ricordare i tempi in cui quel mezzo riusciva a sostenersi sulle sue stesse ruote.

Negli anni, come spesso accade, lungo tutto il perimentro della struttura metallica comincio' a fiorire, spontaneamente, un robusto cordolo di conglomerato cementizio che, al momento e suo malgrado, vincolava la suddetta struttura a quello che nelle carte bollate ci si ostina a definire "suolo pubblico".

Quella impresa commerciale era nata dal sodalizio verbale di due amici che con una stretta di mano erano diventati anche soci; col tempo ne rimase soltanto uno.


Aerosmith

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W la vita

"non postare" è un pregio se ci si accorge di non avere nulla da dire, ma non tutti se ne accorgono. [Magomerlino]  La vita dura poco, se non giochiamo ora...  Watson nel cuore Gaia felicemente... tra i piedi

Watson

Citazione da: krasni dvalòsciadi - 16 Febbraio 2010, 16:45:56 PM
Torno' nel giro di poche decine di secondi tenendo le bottiglie per il collo, impiccate fra le adunche dita della mano mancina.

Il fatto che non avesse gia tracannato la sua birra non lo interpretai come gesto di fraterna solidarieta', ebbi piu' che altro la conferma che i miei orfanelli avrebbero tintinnato nelle sue tasche, da li in avanti.

"Bevi, fratello", mi invito' porgendomi la sola bottiglia, come volevasi dimostrare.

"Strozzati", gli augurai strappandogli la bottiglia dalle mani.

Ci strozzammo entrambe, mentre ci si abluiva.

Nell'intento di lubrificare il cavo orale ci versammo in bocca una bella sorsata di liquido dopo di che, serrate le labbra, con un nervoso e coordinato movimento di lingua e guance cominciammo a sguazzare energicamente.

La birra, per sua stessa natura, non chiede altro che di espandere il proprio volume, basta stuzzicarla, un po' come ......, si, insomma, non v'e' chi non sappia.....

Non era la prima volta che ci trovavamo impegnati in quella sorta di salvataggio in extremis sicche', come rispettando i canoni di un qualche rito esoterico, come sacerdoti del Sacro Ordine del Malto e del Luppolo, ci posizionammo uno di fronte all'altro continuando a sguazzare all'unisono.

Con movimenti coordinati ci curvammo posando le bottiglie ai nostri piedi, ci rialzammo volgendo la fronte al cielo, allo zenit, ci curvammo nuovamente e, sistemate le mani a coppetta, recuperammo la schiuma che nel frattempo stava fuoriuscendo copiosa dalle nostre narici.

Riguadagnammo la posizione eretta e buttammo giu quello che era rimasto in bocca; volgemmo la fronte al cielo, allo zenith, spalancammo la bocca trattenendo il respiro e vuotammo le coppette nella strozza.

Starnutimmo, tossimmo, buttammo giu tutto quello che desiderava andare giu ed espettorammo tutto quello che preferiva venir su.

Ci vuotammo le bottiglie in gola, le strizzammo, come fossero limoni, asciugammo le mani sistemandoci la capigliatura a piu' riprese, evitando di macchiarci gli abiti, le nostre madri picchiavano duro.

A quel punto il rito pote' considerarsi concluso.

"AhhhhhhhhhH!", esclamai io; "AhhhhhhhhhH!", esclamo' Iachino.

Sembrava di stare in riva al mare quando l'onda s'infrange annoiata sulla sabbia, d'estate.

Dopo qualche istante faccia di gomma si produsse in un rituale al quale io, lo ammetto, non ero ancora stato iniziato; lo osservai incuriosito.

Comincio' a palparsi la mammella sinistra, poi la mammella destra, poi ripete' la palpazione, nello stesso ordine di prima.

"cacchio!" esclamo', come se lo invitasse a tirarsi su.

"Mi sembra che tu sia troppo ottimista", lo ammoni', inducendolo implicitamente a ridimensionare le proprie aspettative; fin sotto il mento? dai, non scherziamo!

Senza badare alle mie parole attacco' a palparsi con impazienza prima la natica di destra, poi la natica di sinistra, poi ripete' la palpazione, nello stesso ordine di prima.

"cacchio!" esclamo', come se fosse sorpreso di non trovarvelo.

"Fuochino", mi permisi di suggerire, cercando di incoraggiarlo senza mettergli paura, d'altronde se avesse trovato cio' che stava cercando, nel posto dove lo stava cercando, sarebbe stato lui il primo a dolersene.

Facendo tesoro delle mie parole si caccio' le mani nelle tasche, prima la destra, dove solitamente si portano le chiavi di casa, poi la sinistra, dove solitamente si porta il "disturbo", per usare un termine da sartoria.

Subito dopo ripete' l'operazione, nello stesso ordine, affondando le mani ancor piu' in profondita'.

"cacchio, cacchio!", tuono' in preda al panico, fingendo di essere sfavorevolmente impressionato di averne trovato due li dove, a rigor di logica, avrebbe dovuto trovarne soltanto uno.

"Ssseh!, 'e fatt 'a scopert", lo sconfessai, usando un accento partenopeo, facendo in modo, anche stavolta, di far sibilare la esse di scoperta come la esse di sci.

"Accontentati del poco che hai ricevuto in dono, evita piuttosto di perderlo nuovamente", lo rimbrottai con finta severita'.



Simple Minds

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COIO3

Trovai faccia di gomma qualche decina di metri piu' avanti.

Le spalle appoggiate al muro, teneva il capo fisso e muoveva i soli occhi a destra e a sinistra in un modo tale da riuscire a spaventare i passanti che difatti lo guardavano e, a scanso d'equivoci, cambiavano banchina.

Mi fermai a mezzo metro dal lucertolone e volli ragguagliarlo sugli ultimi sviluppi.

"Il vecchio Lisciandro farebbe meglio ad allentare la guardia sulla sua figliola; la ragazza e' grande ormai, e mi sembra di averla vista piu' nervosa del solito".

Iachino non volle commentare, si limito' ad osservare i gesti indolenti con i quali operavo attorno al pacchetto di sigarette allo scopo di liberarne il contenuto.

Guardandolo in viso, notando una certa impazienza nel suo sguardo, i miei gesti rallentarono, involontariamente, mentre affidavo alla leggerissima brezza il trasparente velo plastico che si dileguo' indisturbato.

Chiunque abbia mai acquisito una qualche dipendenza fisica, che so, alcool, tabacco ma anche pasta con le sarde o rosticciane, elabora una qualche forma di cerimoniale per nobilitare in qualche modo la brutale consumazione della sostanza che stimola i propri appetiti.

Strappai il lembo superiore del pacchetto all'altezza della marca del monopolio poi, con gesto elegantissimo, somministrai due colpetti al fondo del pacchetto, con il pollice.

Nel far cio' lanciai uno sguardo al bruto che mi stava di fronte, e non potei trattenermi dal meditare su quanto volgare fosse l'animo di chi non riesce a godere il piacere dell'attesa.

Era come se io stessi operando attorno ad un samovar d'argento finemente cesellato, attendendo pazientamente i prescritti tempi d'infusione per il the, mentre lui fremesse d'impazienza tenendo un filone di pane raffermo sotto al braccio, pronto, quando mi fossi spicciato, ad inzupparcelo dentro.

Ne vennero fuori quattro sigarette, una in procinto di cadere fuori le rimanenti pronte ad essere risospinte dentro.

Proprio in quel momento faccia di gomma allungo' la mano destra di piatto muovendo nervosamente le sole falangi delle quattro dita, alla stregua di Bruce Lee, quando invitava i propri avversari a farsi massacrare, quegli avversari che ancora si reggevano in piedi.

Avrei preferito non mi avesse rivolto quel gesto nervoso, non fosse altro perche', per qualche motivo che non so spiegare, cercavo realmente di esasperarlo mettendo alla prova la sua pazienza.

In breve, avrei preferito che subisse senza reagire.

Mi infilai in bocca il pivot, poi risospinsi delicatamente le altre bionde nel pacchetto, in ultimo lanciai in aria il medesimo, come se avessi tolto dal fuoco una padella senza manico.

Iachino si stacco' dal muro e comincio' a zampettare per aria, come fosse un geco che cercasse di procurarsi un pasto decente, lanciando un fulmineo agguato, emergendo dall'ombra di una plafoniera che, in una calda sera d'estate, illumina di luce giallastra la parete spruzzata a calce di una veranda con vista mare.

Mentre il sauropode brancicava per aria feci scoppiare un cerino che si mise a sfrigolare fra le mie mani chiuse a coppetta, com'e' d'uopo tra i fumatori che popolano aree geograficamente ventose.

Stabilizzatasi la fiamma, allungai le labbra come se tirassi da una cannuccia e la mia bionda prese fuoco; in quel preciso istante meditai su come sarebbe stata noiosa una vita senza donne, e in effetti lo era.

Soffocai il cerino scuotendolo come se aspergessi una folla di fedeli devoti, quindi apri' le dita e lo abbandonai al suo destino di disoccupato, senza pensione ne buonuscita.

Mi riusci' di aprire le labbra un istante prima che la zampaccia del caimano artigliasse la sigaretta strappandomela di bocca.

Era riuscito ad agguantare il pacchetto di sigarette e lo aveva gia occultato dopo averne sfilata una, la stessa che stava accendendo servendosi della mia, guardamdoni sott'occhio mentre tirava a muso stretto, come se stesse baciando il tartufo del bastardissimo volpino della madre.

Sbuffo' una nuvola di fumo azzurro poi, mentre lo tenevo sotto punteria, volle vendicarsi dello sgarbo subito lanciando in aria la mia sigaretta, facendola schizzare via sospinta dal dito indice opposto al pollice.

Mentre si concentrava sul lancio allungai la mano e tolsi la sua sigaretta dalla sua bocca, senza che lui riuscisse ad impedirmelo.

I maschi non riescono a fare due cose importanti contemporaneamente, le ragazze al liceo ci fregavano sistematicamente sfruttando questa nostra congenita incapacita', tutte le volte che gliene offrivamo l'occasione.

Gli riusci' di riagguantare al volo la mia ex sigaretta prima che questa prendesse terra, zampettando per aria ancora un po', temendo di afferrarla per il lato sbagliato.

"Se non altro hai fatto un po' di moto" lo consolai sbuffandogli in faccia una boccatona di fumo azzurro, mentre mi guardava con sguardo carico di rimprovero.

Poi, come parlassi a me stesso, borbottai "per risparmiarti quattro passi mi hai costretto a farmi insolentire da quell'indisponente ragazza".

"Un giorno di questi mi si tira dietro al banco, e mi violenta!", confessai a bassa voce, rivelando il vero motivo del mio malumore, mentre gesticolavo come se volessi ingranare una terza marcia recalcitrante.

"Bene" rispose allusivo faccia di gomma, "cosi' almeno farai un po' di moto anche tu", e mi sbuffo' in faccia una boccatona di fumo azzurro, mentre mi guardava con sguardo carico di commiserazione.

Scoppiai a ridere mio malgrado, la sua presenza di spirito riusciva invariabilmente a mettermi di buon umore.

Lo gratificai col solito affettuoso appellativo, "Curnutu!", scuotendo il capo come a voler suggellare la pace fatta; in ogni caso avevo imparato da tempo a lasciargli l'ultima battuta, quella d'uscita.

Ci guardammo attorno con indolenza, se avessimo avuto qualcosa da fare saremmo andati a farla; in quel particolare frangente cercavamo di arrivare all'ora di pranzo senza annoiarci.

Sull'asfalto accanto alla banchina erano sparpagliati innumerevoli mezzi semoventi, in statica attesa.

Alla nostra sinistra si stava raggruppando una folla di curiosi, a quei tempi un blocco stradale riusciva ancora a suscitare curiosita'.

Ci prendemmo a braccetto, come due fidanzatini, e ci avviammo verso l'ingresso del Policlinico.




Blur

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Whatever Works ;)

COIO3

Passando accanto ad un furgone, lercio come la lettiera di una bufala, vedemmo un braccio venire fuori dal finestrino; il braccio si muoveva lentamente dall'alto in basso, imitando i gesti di un cantoniere che vi inviti a rallentare la marcia della vostra vettura in prossimita' di una strettoia.

Il furgone dichiarava di appartenere alla "Bradypus Torquatus", azienda municipalizzata impegnata nella bonifica e nell'irrigimentazione delle acque di un torrente che aveva smesso di scorrere gia ai tempi in cui Garibaldi andava ancora in giro con i calzoni corti.

Il braccio era attaccato alla spalla di uno spilungone di carnagione scura con la faccia zeppa di barba di una settimana, il cranio zeppo di capelli corvini, dritti e lucidi come una forchettata di linguine al nero di seppia.

Indicando con il pollice  nella direzione della lontana e fumosa "meson", il bradipo ci chiese se saremmo stati cosi' gentili da andare a prendergli una birra; ce l'avrebbe pagata al nostro ritorno.

"Vorrei ma non posso", risposi io.

Indicando con il pollice nella direzione del vicino ed arduo tabacchino, il bradipo ci chiese se saremmo stati cosi' gentili da andare a prendergli un quotidiano d'informazione sportiva; ce l'avrebbe pagato al nostro ritorno.

"Vorrei ma non posso", rispose Iachino.

V'era qualcosa nelle nostre risposte che puzzava di sfotto' tuttavia mancava dai nostri volti la colpevole mimica di chi volontariamente provochi le giuste ire del prossimo.

Il nostro indolente fumacchiare poteva denotare imbecillita' congenita, ma anche un'incrollabile fiducia nei nostri mezzi.

Il bradipo indugio' per un attimo sui nostri volti inespressivi e, non volendo approfondire la natura della nostra sonnolente sicumera, ci congedo' sventolando la mano con gesto negligente, rinunciando a spaccarci quello che, almeno per un attimo, era stato sicuro di poterci spaccare.

Poco piu' avanti notammo un motocarro che si agitava gemendo sui suoi propri semiassi; apparteneva alla "Putorius Furo S.R.L.", azienda specializzata nella consegna ultrarapida di materiale elettrico all'ingrosso.

Dentro si agitava un individuo dalla faccia onesta e sudaticcia che aveva il panico nella voce e negli occhi; il classico dipendente privato in ritardo sulla tabella di marcia.

Appena ci vide ci chiese se saremmo stati cosi' gentili da dare un'occhiata al furgoncino mentre lui si sarebbe recato a telefonare in ditta, per giustificare il proprio ritardo; era questione di vita o di morte, ci garanti', diversamente non ci avrebbe disturbato.

Mentre ci spiegava il motivo delle sue ambasce vedemmo nei suoi occhi apparire un'espressione che faceva pensare alla valutazione di un rischio calcolato.

Quello sventato di faccia di gomma offri' piena collaborazione, con troppo altruistico entusiasmo; si permise di suggerire al bravo ed onesto stakanovista di lasciarci le chiavi del mezzo, "nel caso si renda necessario spostarlo", spiego', indicando il traffico paralizzato.

Non seppi mai se faccia di gomma avesse davvero avuto l'intenzione di fare incetta di cavo elettrico ed interruttori.

L'onesto lavoratore aveva gia chiuso lo spertello della motoApe e si rigirava titubante le chiavi tra le mani, chiavi assicurate ad un'artistica trecciola di cavo elettrico blu-grigio-gialloverde, quello da 10 ampere per capirsi, quando una mano, tanto pallida quanto ricca di pelo rado e scuro, porse all'omino un block-notes arancione a cui era agganciata una Bic a scatto color vinaccia.

Ci girammo, tutt'e tre, e vedemmo un impermeabile, double-face, color cotenna di maiale deceduto, con i risvolti del bavero color palude di mangrovie, stretto in vita ad un individuo dall'aspetto sinistro che ricordava in maniera impressionante il Tenente Sheridan, quello della TV.

Aveva il piu' bel cranio a lampadina che avessi mai visto fino a quel giorno, una lampadina da 200 candele, quelle da rivendita di sedicente pesce fresco, accese nelle sere d'estate lungo le puteolenti banchine del lungomare della riviera nord.

Era stempiato, alla diabolik, e aveva i capelli "leccati" come fossero dipinti sul bulbo della lampadina stessa.

Sotto l'ascella sinistra portava una cartella per documenti color oliva acerba ancor ricoperta da pruina, di sbieco vi si poteva leggere, impresso a china e in corsivo, "Corax & associati".

"Segni il numero di telefono, prevvedero' io stesso a telefonare" si offri' il tenente da 200 candele.

L'omino dell'Ape rimase interdetto per qualche istante, evidentemente non era avvezzo a ricevere tante grazie, e da piu' di un santo, nello stesso giorno per giunta; infine si decise e scribacchio' qualcosa mentre ringraziava con un leggero imbarazzo nella voce.

"Lei e' gentilissimo", tentar non nuoce penso', "ho segnato il numero di targa del mezzo, la prego di segnalarlo in ditta" si raccomando' il sudaticcio, "il numero di targa" ribadi' mentre restituiva biro e notes.

Chiunque abbia mai lavorato per un'impresa privata sa per esperienza che il responsabile del parco mezzi e' un distinto gentiluomo, laddove il responsabile del personale e' sufficente che turpiloquisca con fantasia e, all'occorrenza, sappia menare le mani.

Il diabolik leccato raccolse notes e biro facendole scomparire in una tasca interna del suo impermeabile da taccheggio, si strinse la cinghia del suddetto e, prima di allontanarsi, quasi con imbarazzo, si rivolse al suo beneficando.

"Credo che le portero' una birra fresca", pausa, "lei e' sudato", concluse, abbassando lo sguardo in terra, quasi a volersi scusare dell'ultima osservazione.

Come qualsiasi altro disperato di qualsiasi altra parte del mondo, lo zelante motocarrista, pur diffidando delle grazie, credeva ciecamente nei miracoli.

Comincio' a balbettare mentre le guance e il mento prendevano a tremargli per l'intensa commozione che non riusciva a mascherare e prese a tastarsi con vigore nervoso come se tentasse di risospingersi dentro delle ernie che gli si protundessero in rapida successione in zona addominale.

"A-a-aspetti, n-n-no-non po-po-sso per-per-metterlo!" balbettava, smanacciandosi furiosamente fino a riuscire a tirar fuori da qualche tasca una millelire che sembrava venuta fuori da un pestaggio con accoltellamento.

"Non e' necessario" tento' di schermirsi il paludato ma il sudaticcio con fare autoritario gli caccio' in mano la banconota all'arma bianca, esibendo una ciera risoluta come se, a buon diritto, gli stesse strappando dalle mani il reggiseno della moglie che quello avesse tentato di trafugare.

Benefattore e beneficando si guardarono negli occhi per qualche istante, trattenendo a stento l'emozione; infine l'uomo della provvidenza fece un cenno con il capo, come se annuisse, si volto' e scomparve tra la folla.

L'incredulo motocarrista a sua volta giro' sui tacchi e riaperto lo sportello del suo pratico mezzo ci si infilo' dentro, senza degnarci di uno sguardo, come se ci avesse appena spuzzato sul muro scalcinato di una qualche traversa buia, prima di allontanarsi frettoloso, dopo essersi sgrullato perbenino il pappafico.

La cicca fumante all'angolo della bocca, rimasi interdetto per qulche istante, come se vedessi scorrere i titoli di coda di "Miracolo nella 34a Strada".

Mi volsi in direzione di Iachino e lo interrogai con lo sguardo, "what's going on"?

Faccia di gomma, che stava torcendo il collo alla sua cicca, mi rassicuro' con sguardo saputo, da uomo rotto a tutte le esperienze, "none of our business!".

"Il mare e' pieno di pesci" sentenzio' "e giocoforza che qualcosa abbocchi, prima o poi", concluse.

Guardai con ammirazione quel saggio perdigiorno, per un attimo il suo profilo mi ricordo' l'espressione vissuta di Spencer Tracy ne "Il Vecchio e il Mare".

Proseguimmo dirigendoci verso l'affollato epicentro del marasma ribollente di vita.

Cominciammo a sgomitare per farci largo fra la turba sfaccendata, prima affidandoci all'agilita' delle nostre membra poi, man mano che le maglie s'inffittivano ricorrendo ai soliti espedienti utili a guadagnarsi un posto in prima fila, anche nella vita.

Io cominciai a puntellare a destra e a manca, le donne dandomi del porco, gli uomini dandomi del pederasta.

Iachino comincio' a gesticolare furtivo, le donne stringendosi al petto le borsette, gli uomini spostando il portafogli dalla natica al taschino interno della giacca.

In vista della rampa d'accesso, quasi al centro di quella galassia umana, mi vidi occlusa la via e la visuale da un umanoide di ipotizzabile sesso femminile, inequivocabilmente affetto da acromegalia.



Sting

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COIO3

Bloccato a poppavia di quella gigantessa mi trovai in forte imbarazzo.

Non v'era nulla in quel corpaccione a cui io potessi fisicamente puntellarmi se non alle scarpacce da cui straripavano fuori dei talloni talmente callosi da far pensare a dei copertoni incatenati a coppia alle banchine d'attracco per navi di grosso tonnellaggio.

Ricordai con amarezza il pomeriggio in cui andai a prendere una ragazza per portarla un po' in giro, dietro compenso giurato di tre versioni di greco tradotte e in bella copia, nonche' la consumazione pagata al bar; mi era parso uno scambio equo.

Formavamo una bella coppia, lei offriva allo sguardo una muliebre avvenenza senz'altro paragonabile alla mia virile prestanza; sarebbe stato un successo se fossimo riusciti a non farci prendere a pietrate lungo la strada.

I genitori della secchiona ci passarono in rivista mentre uscivamo dalla porta di casa, temendo, forse auspicando, che sfrenassi la loro puledra gia sulla porta dell'ascensore.

Il pechinese dell'unica figlia di cotanti lombi diffido' di me sin dal primo istante in cui misi piede in quella casa.

Proprio sulla porta dell'ascensore penso' bene di vendicarsi in anticipo del presunto ratto di padroncina e, appellandosi alla legge del contrappasso, apri' le danze di quello che si sarebbe rivelato un pomeriggio di un giorno letteralmente da cani.

La bestia mi si attacco' alla scarpa destra e comincio' a darci dentro come un indemoniato, come se lo stesso belfagor lo istigasse pungolandogli le chiappe col forcone.

La gigantessa stazzava ad occhio poco meno di due quintali, per poco meno di due metri dalla linea di galleggiamento al castello di prua.

Mentre frugavo con lo sguardo lungo l'immenso fasciame per trovarvi un qualche possibile varco non potei fare a meno di notare come il medesimo fosse chiassosamente decorato a motivi variopinti di colori sgargianti.

Mi faceva venire alla mente la carta da parati di un qualche bordello parigino di fine ottocento che avevo visto in una riproduzione di un dipinto d'epoca.

Non avevo bisogno di girare attorno alla carretta di mare per ammirarne la prua, la supponevo di aspetto repellente; l'avvenenza di una donna e' inversamente proporzionale alla quantita' di "profumo" col quale la medesima si asperge.

Si diffondeva dalla carcassa di quel natante un afrore spaventoso, qualcosa che stava a meta' strada tra una fumeria d'oppio e un banco mescita d'assenzio e laudano.

Un vago tanfo di sentina rugginosa denunciava come l'aspersione dell'essenza profumata fosse avvenuta servendosi di una qualche pennellessa inzuppata dentro un qualche secchiellone metallico.

Dopo qualche decina di secondi, non trovando di meglio da fare, cercai di forzare il blocco fingendo una perdita d'equilibrio, buttandomi a corpo morto e naso turato a babordo della corazzata.

L'ammiraglia non si sposto' di un solo millimetro, tuttavia con lo slancio acquisito fini' rimbalzando per spingere di lato un robusto lavoratore del braccio che stava di fianco alla fregata, il che mi fece guadagnare il lato sinistro del gigantesco natante.

Il mercantile allungo' il capone di babordo e apri' la benna avvolgendomi il cranio per intero, intendendo probabilmente evitarmi una possibile caduta.

"Fai attenzione, ragazzo!" mi ammoni', con voce che sembrava venire fuori dai registri bassi di un organo da cattedrale.

Detto cio' tento' di riposizionarmi a poppavia, tenendomi stretto per il cranio e girando il polso in senso antiorario, con la forza di un argano.

All'epoca avevo tanti capelli in testa sicche', sacrificandone una quantita' imprecisata, riusci' a vincere la morsa di quel mostruoso bozzello fino a scivolare proprio davanti agli osteriggi di proravia.

Il bracciante contuso, vedendosi sopravanzato, si premuro' d'informarmi che la mia bella testa somigliva straordinariamente ad un prepuzio; aveva l'aria di sapere il fatto suo in materia, non volli contraddirlo.

Anche la Potemkin non parve contenta della mia invasione, mi riusci' di avvertire lo spostamento d'aria della gru e del bozzello che crollavano in posizione di riposo, quindi un lungo sbuffo dai pelosi fumaioli che riusci' a farmi sventolare la camicia come se procedessi a forte andatura sulla motoretta.

Raggiunta la nuova postazione ebbi una visione piu' chiara della situazione.

Causa dell'ingombro era un vecchio residuato bellico a tre assi che si era irrimediabilmente incuneato tra una Fiat 600 Multipla e il motocarro ancora in attesa sulla rampa d'accesso al policlinico.

La folla dei curiosi si era disposta ad emiciclo attorno al teatro di quella si sarebbe potuto definire una farsa; per strano che possa sembrare la situazione sulla rampa d'accesso era la medesima di quella osservata venti minuti prima, motocarro, pulmino e contrammiraglia mercedes.

Il popolo degli sfaccendati astanti si interrogava rumorosamente sull'origine di quell'intoppo viario, e in molti formulavano ipotesi che pero' non ebbi modo di approfondire perche' ad un certo punto fu come se le mie percezioni uditive si andassero progressivamente affievolendo.

Scossi lievemente il capo come per sturarmi le orecchie e, con mia sorpresa, la tempia sinistra colpi' un voluminoso oggetto che reagi' emettendo un clangore metallico.

Entro' nel mio campo visivo periferico una spaventosa sagoma pletoricamente decorata a colori chiassosi e sgargianti.

Il gigantesco catamarano alle mie spalle stava spingendo, mi si passi l'ossimoro, le poppe di proravia contro il mio cranio riuscendo a piegarmi i padiglioni auricolari.

Si fermo' solo quando le riusci' di bloccarmi l'intera zona occipitale, con una mossa che oserei definire "a tenaglia".

In poche parole, il gigantesco catamarano, come obbedendo a una qualche forma di turpe contrappasso, stava puntellando me.

Non potendo, "avio priva", cazzare il tangone, si serviva delle due terrificanti ogive che aveva in dotazione, della potenza stimata di 15 chilotoni ciascuna.

Rimasi sordo e pietrificato nel mio vergoso e stupito imbarazzo.

L'aguzzina alle mie spalle, vedendomi immobile, spinse la sua lubrica perfidia al punto di spostare tutto il peso del corpo sull'anca destra, facendo in modo che mi si scaricasse sulla spalla sinistra tutto il peso della ponderosa polena di babordo.

Oppresso da vergognosa indignazione, non volendo perdere la postazione guadagnata, pensai bene di reagire spostando il peso del mio corpo sull'anca sinistra facendo in modo che la stessa scivolasse indietro.

A quel punto spinsi il tallone in basso con forza sufficente a piegare una traversina ferroviaria; il mio piede affondo' al suolo mancando la zampaccia, o almeno una delle tante cipolle che presumevo ne devastassero le zone periferiche, che mi ero prefisso di colpire.

La vaporiera si avvide della mia mossa sfortunata, me ne accorsi da un sordo borbottio proveniente dalla sala macchine, borbottio che si poteva assimilare ad una risatina soffocata; immagginai un sorriso malvagio dispiegarsi sul peloso e butterato boccaporto.

Era stato stupido da parte mia pensare che quel corpaccione scaricasse il proprio peso, a piedi giunti, su esili colonne d'alabastro.

Pur lungi dal voler indagare, era ipotizzabile che si trattasse piuttosto di enormi colonnacce di travertino la cui sezione stessa impediva che le basi si potessero avvicinare a meno di mezzo metro.

Avrei potuto resistere stoicamente in quell'imbarazzo se non fosse che, complice la mia formazione classica, mi venne fatto di pensare a cosa mai si potesse nascondere lassu', oltre le poderose colonne d'ercole.

Pieno di pazzo disgusto disincagliai rabbiosamente il cranio e mi spinsi rapidamente in avanti, nell'unica direzione che mi allontanava da quell'inverecondo ciclope.

Superato l'orizzonte degli eventi precipitai dentro il buco nero, l'anello forte delle comari, delle popolane; non sarebbe stato facile venirne fuori vivo, meno ancora illeso.




De Gregori

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Whatever Works ;)

COIO3

L'inizio non poteva essere peggiore.

Caddi, mio malgrado e di tangone, tra le ineffabili grinfie posteriori di  "Cetta 'mmulata frisca", pescivendola ambulante, Concettina Affilata da poco, in ossequio alla velenosa lingua della suddetta, "hard sharpned" come scritto sulle confezioni dei rasoi da barba.

"'LLASCATI, CIDDUZZA!" mi sbraito' in faccia, con un alito che raccontava di teste ed interiora di costardelle, eviscerate a morsi ed incartate a duemila e cinquecento lire al kg, buonpeso.

La sguaiata ingiunzione di "demoiselle Cetta" attiro' l'attenzione di tutte le parigrado che a buon diritto le stavano a fianco.

Che la crema della societa' fosse ben rappresentata lo dimostrava il fatto che la gigantessa di prima, nonostante la mole, se ne era tenuta a rispettosa distanza.

Io mi sarei "allascato" piu' che volentieri non fosse stato per l'infame calca che mi assediava tutto attorno, d'altronde non potevo neanche rassicurare la signora rivelandole che mi sarei lasciato scuoiare vivo piuttosto che approfittare della situazione di involontaria promiscuita' in cui ci trovavamo coinvolti.

Le donne ti odiano se le importuni, e ti odiano anche se le gratifichi con poco tatto, ma ti odiano ancora di piu' se non le gratifichi affatto.

Le donne di quel censo avevano un approccio diretto all'odio.

I loro uomini ti facevano rizzare i capelli in testa solo guardandoti per traverso, raramente ritenevano necessario dover passare alle vie di fatto.

Loro, le donne, per evitare di essere in qualche modo sottovalutate, pensavano bene di buttarti le mani addosso al minimo spunto di malumore.

Quanto all'"uccellina", volatile di piccola pezzatura e per giunta di sesso femminile, ero ben lungi dal volermi confrontare con femmine di quel calibro.

Mi ero fatto l'idea che quelle stesse gradissero consumare i propri amplessi a cavalcioni dei secolari cipressi che ombreggiano i viali del maestoso cimitero monumentale; niente con cui potessi misurarmi.

Tutte quelle donne erano state invariabilmente offese da qualche maschio, era anche scusabile che tentassero di far perire i propri antagonisti servendosi della medesima spada che aveva ferito loro; non potevo offendermi.

La bellicosa pescivendola passo' alle vie di fatto in men che non si dica, mi punto' le mani al petto e mi spinse via violentemente.

Precipitai di spalle, malauguratamente, fra le mammelle di "Enza quattru caddozza", Provvidenza quattro salsicce, coniugata ad un macellaio di frodo, gia condannata per tentato uxoricidio, a piede libero sulla parola per sopravvenuto esubero nel braccio femminile della locale casa circondariale, poco distante dallo stadio, guarda caso a quattro passi da li.

Provvidenza mi acchiappo' per le spalle e mi rigiro' come fossi un budello di maiale che lei stessa si accingesse a riempire di carne tritata d'asino vecchio, sale, pepe nero e semi di fin0cchi0.

Quando fummo vis-a-vis mi digrigno' il suo sdegno per essere stata travolta da un ovino castrato; disse che puzzavo di beccume e che si sarebbe ritenuta soddisfatta solo quando fosse riuscita a farmi uscire "sangue da tutte le parti", testuali parole.

Iachino era immerso nella stessa melma, poco distante dal luogo dove si stava consumando la mia tragedia.

Lo vidi mentre tentava, mani in alto, di sedare le funeste ire di "Peppa pupa di lignu", Giuseppina omissis di legno.

La stessa, allargando la camiciona all'altezza del petto, rivelava a faccia di gomma di custodire i propri denari dentro il reggipetto; che cercasse di sfilarglieli da li se gli bastava il coraggio, nel qual caso lei stessa gli avrebbe fatto schizzare gli occhi fuori dalle orbite.

Traducendo a braccio dal dialetto, la signora avrebbe preso la testa di faccia di gomma e se la sarebbe infilata fra le cosce, indi avrebbe stretto le medesime fino a raggiungere lo scopo prefissosi.

La vecchia Peppa era una donna ormai anziana, tuttavia non era saggio pensare che minacciasse a vanvera, d'altronde nessuno ha mai sentito di una "pupa" che diventasse meno coriacea col passare degli anni.

La macellaia nel frattempo aveva cominciato a scuotermi, forse pensando che non fossi sufficentemente frollato per essere disossato e venduto a tranci.

Mentre mi scuoteva, vedendomi inerme e rassegnato, come fossi riempito di segatura, parve perdere parte della sua animosita'.

Cominciando a ridacchiare malvagiamente, domandava in giro se qualcuno volesse occuparsi della soppressata che aveva appena terminato d'insaccare.

Scoppio' un boato di risate demoniache poi, visto che nessuna si faceva avanti per prendermi in affido, la macellaia mi rigiro' di spalle e mi spinse a casaccio proprio in mezzo a quell'infernale gineceo.

Calcolai che sarei finito fra le spire di "Mela a sarracina", Carmela la satanassa, fattucchiera praticante, quattro gravidanze prima della maggiore eta', nessun marito sopravvissuto, nessun figlio a piede libero, una leggenda vivente.

La diavolessa vedendomi arrivare alzo' la mano sinistra e comincio' a fare segni cabalistici muovendo il pollice, l'indice e il medio della mano sinistramente ingioiellata; mi vidi perduto.

Proprio in quell'ìstante si levo' un urlo che nulla aveva di umano.

Si trattava di una giovinetta ricoperta da una leggera sottanina, che teneva appollaiato sul fianco sinistro un bambino che le rassomigliava parecchio e che si trastullava leccando i due candelotti di moccio che gli colavano dal naso.

La ragazza non aveva ancora l'eta' per partecipare al ballo delle debuttanti, tuttavia che avesse cominciato a ballare da un pezzo era dimostrato dall'avanzato stato di gravidanza in cui versava; se il pupo che teneva in braccio non era un suo fratellino allora era probabile che si trattasse del suo primogenito.

La fanciulla comincio' a sbraitare chiamando a raccolta le comari, con incredibile pathos, con la voce spezzata dal pianto, senza versare una sola lacrima; sembrava recitasse la parte di Elettra.

A quanto pareva un ufficiale giudiziario stava tentando di penetrare la magione di una non meglio identificata "Sarina iatta sarbaggia".

Con un ultimo straziante affondo sulle ottave piu' alte della sua straordinaria estensione vocale, la discinta attrice invitava a non lasciare invendicata quella "INFAMITA'".

La satanassa si disinteresso' completamente di me; con un rapido e secco gesto della mano mancina chiese ed ottenne silenzio ed infine pronuncio' ad alta voce: "ALL'ATTACCO!".

Le ubbedienti comari serrarono le fila e partirono a passo di carica per la loro spedizione punitiva, lasciando libero il campo.

Io e Iachino, miracolosamente illesi, ci allontanammo dalla folla e, guadagnata la rampa d'accesso, ci rifugiammo all'ombra del gabbiotto del guardiano.




Contours

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Watson

Le ultime disavventure di faccia di gomma e del suo inseparabile amico, mi hanno fatto venire in mente dei quadri di Botero....



[size=08pt]immagini tratte da www.studioessedipinti.it[/size]

in particolare sono rimasto scioccato da questa frase:

Traducendo a braccio dal dialetto, la signora avrebbe preso la testa di faccia di gomma e se la sarebbe infilata fra le cosce, indi avrebbe stretto le medesime fino a raggiungere lo scopo prefissosi.


per fortuna oggi simili scene sarebbero impossibili da vedersi e da farsi, ma un brivido lungo la schiena quell'azione ma l'ha dato....

... anche se non c'è miglior modo migliore di lasciare questo mondo se non stritolato in quel modo  (muoio)



Francesco De Gregori

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W la vita

"non postare" è un pregio se ci si accorge di non avere nulla da dire, ma non tutti se ne accorgono. [Magomerlino]  La vita dura poco, se non giochiamo ora...  Watson nel cuore Gaia felicemente... tra i piedi

COIO3

Qualcuno si invento' uno strumento a corda, col tempo qualcun'altro penso' bene di attaccarlo alla spina e subito dopo qualche altro penso di far passare le corde dentro un distorsore.

Certe volte non sai se graffia piu' la voce o la chitarra.

Maschi o femmine, chitarre ... anche, se hanno la voce arrochita sembrano piu' cattivi; conservano comunque una bellezza accattivante.



Tina Turner & Bryan Adams

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