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Terroni

Aperto da Telaio Pazzo, 13 Agosto 2010, 09:47:45 AM

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luca pz



Non lo dire a nessuno ma ogni volta che arrivo si raduni 2cavalli c'è qualcuno che proclama: "io odio i terroni" segno palese che le cose poco sono cambiate ;) .

Non lo dire a nessuno ma capita anche a me

luigi spino

Premesso che ho conosciuto splendide persone ed emerite teste di ca22o a nord, centro e sud, ho trovato molto interessante e reale il post di Luca

La sua descrizione dell'accoglienza che ti riservano al sud è meravigliosamente vera, penso che l'ulcera me l'abbiano provocata tutti i caffè offerti che mi son trovato a sorbire quando vado in Calabria  ;D ma il calore che trovi qui - e non mi riferisco al clima - è davvero qualcosa di meraviglioso.
Un aneddotto curioso: mi ero fermato a un bar per prendere una bibita rinfrescante, mai visto e conosciuto nessuno e unico estraneo del locale, quando uno dei clienti vince 50mila lire (l'euro non era ancora arrivato) al gratta e vinci. Risultato da bere offerto per tutti, compresa la bibita del sottoscritto    (superok)

Orgoglioso di essere terrone, seppur solo "adottivo"  ;D

Citazione da: luca pz - 14 Agosto 2010, 13:29:57 PM


Non lo dire a nessuno ma ogni volta che arrivo si raduni 2cavalli c'è qualcuno che proclama: "io odio i terroni" segno palese che le cose poco sono cambiate ;) .

Non lo dire a nessuno ma capita anche a me

(giu)

Fortunatamente, a memoria mia, non mi ricordo niente del genere...

  in hoc signo vinces

luigi spino

Ps Luca
Il pollice verso è rivolto a chi dice certe cose, non certo al tuo post
  in hoc signo vinces

WillyJoe

Beh Luca, noi siamo Lucani e non sentiamo il bisogno di negarlo... Però ad un raduno 2cv sentire affermazioni del genere e dette con cattiveria fa davvero riflettere sulla pochezza umana :)
Le automobili sono le cattedrali gotiche del nostro tempo.

Roland Barthes - Miti d'oggi -

luca pz

per fortuna ai raduni si incontra  sopratutto tantissima bella gente  (felice)

luigi spino

Citazione da: WillyJoe - 14 Agosto 2010, 13:38:07 PM
Beh Luca, noi siamo Lucani e non sentiamo il bisogno di negarlo... Però ad un raduno 2cv sentire affermazioni del genere e dette con cattiveria fa davvero riflettere sulla pochezza umana :)

Come detto non mi è mai capitato di sentire  cose del genere, evidentemente anche tra i duecavallisti ci sono persone meravigliose (tante) e persone che sono niente mischiato col nulla (spero poche).

Ma il problema, a pensarci bene, mi sembra più loro piuttosto che degli "odiati terroni"  ;)
  in hoc signo vinces

WillyJoe

..beh ovviamente é un problema loro...ma fa riflettere però su quale sia la situazione reale che, se pur in modo "marginale" contagia anche il mondo dei nostri beneamati raduni....segno palese che tanta strada ancora c'è da fare per estirpare la demenza umana!

Comunque io con Luca mi sono trovato subito bene da sempre! ;D
Le automobili sono le cattedrali gotiche del nostro tempo.

Roland Barthes - Miti d'oggi -

luca pz

#37
ricollegandomi alla risposta di luigi , quando ero a potenza tra colleghi si offriva la colazione agli altri a turno ,è il gesto di offrire che fa parte di una ospitalità innata. a bologna mi sembrava stranissimo che si andasse alla cassa per pagare un cornetto e un caffè anche se si era in tre o piu, cosi molte volte offrivo comunque. e alcuni colleghi ( ferraresi) "si vede che tu hai soldo da sprecare!"  (stupid) provavo tristezza , per il modo di ragionare del collega, alla fine mi sono abituato a pagare molto spesso un caffe e un cornetto, e questo  un pò mi preoccupa

anche io mi trovo benerrimo con queli manese di WJ (muoio) (muoio) (muoio)

(ho appena finito di guardare così parlo bellvista, lo consiglio a chiunque sia interessato a questo topic)

Aspes

Alla storia del Po, e di tutto il resto, ci credo poco .... inoltre la moglie del capo non e' propriamento nordista.

Vero' invece e' che al Centro-sud la gente sia piu' ospitale, piu' portata al dialogo ed all'ospitalita'.

Al Nord si e' molto piu' chiusi, soprattutto in chi non ha mai avuto occasione di girare un po' per l'Italia.

Ma credo che cio' faccia parte di una percentuale di differenza insita in cuascuno di noi, data dalla zona in cui si e' cresciuti, dalla cultura della zona ...

Chi rimane chiuso in  se stesso e si preclude agli altri spesso non si e' mai mosso da quella zona, e se lo ha fatto e' stato refrattario ed impermeabile al "nuovo" che lo circonda.

Come sempre, io non generalizzerei : il cattivo ed il buono sono ovunque.
Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nelle testa,
e il cuore di simboli pieno.

Telaio Pazzo

Citazione da: fabri2cv - 13 Agosto 2010, 19:35:43 PM
Ciao Fabio, credo che l'argomento sia alquanto datato, siamo tutti italiani al 100% e tanto dovrebbe bastare a chiudere l'antica leggenda dei terroni e dei polentoni. Il testo da te riportato sarebbe tutto da verificare ma preferisco una italia unita per la quale hanno lottato ed hanno dato la vita tanti nostri progenitori.

(felice)

Vedi Fabri, delle verità quelle scottanti scomode a volte è difficile parlarne ....... se poi risalgono ad oltre un secolo fa, bhe diventano datate, anacronistiche, ..... roba passata.

Ma il passato ci serve, per farci comprendere chi siamo, ma soprattutto da dove siamo venuti. Noi italiani di tutte le latitudini, con i nostri pregi ed i nostri difetti.

La nostra storia, tutta da verificare e confermare ci da poi la risposta ai comportamenti sociali attuali, che faccia piacere o no accettarne i lati meno "limpidi" .....

Garibaldi e l'Unità d'Italia vanno a braccetto con la Questione Meridionale e dare un'interpretazione moderna di quest'ultima staccata dalla prima non sarebbe corretto.

Non voglio riportare citando notizie inerenti l'argomento, di cui la rete è piena; bastano i link per dare uno spunto di lettura a chiunque abbia voglia di approfondire.

http://www.marxismo.net/fm172/fm172_09.htm

http://it.wikipedia.org/wiki/Questione_meridionale

http://www.peacelink.it/storia/a/7001.html


.... chi non è ancora sazio, mi faccia la cortesia di leggersi queste poche righe che riassumono bene (vecchio)

150 anni dall'Unità d'Italia, e il Paese non è mai stato diviso come ora.
Il nord vuole l'indipendenza, il sud, la reclama, ormai decine e decine si storici hanno riscritto la storia d'Italia che non è andata come cel'hanno insegnata a scuola.

Le mafie, insieme all'emigrazione  è una delle "figlie" dell'invasione del Meridione da parte dell'esercito piemontese. La situazione sociale e politica è talmente sfilacciata che anche le gerarchie della Chiesa Cattolica, evocano l'Unità d'Italia.
E fu proprio La Chiesa a pagare il prezzo più alto: la legge speciale mancini, infatti, decretò la soppressione di tutti gli ordini religiosi. Ne seguirono persecuzioni, devastazioni, incendi, fucilazioni.

Chi scrive vorrebbe offrire elementi di riflessione e dibattito, sotto altri punti di vista. 685.000 persone uccise nel Meridione, 500.000 arrestate, molti delle quali deportate nei lager sabaudi a Finestrelle, località a 2000 metri in Piemonte, dove i prigionieri venivano sciolti nella calce viva; 62 paesi distrutti e dati alle fiamme. Processi sommari, impiccagioni, il fenomeno dell'Insorgenza Popolare definito brigantaggio con bandi simili a quelli dei nazifascismi durante la seconda guerra mondiale.
C'è un'ampia revisione storica da parte di moltissimi studiosi e una vasta letteratura nel merito. Lo stesso Gramsci scrisse che il popolo del meridione fu "crocifisso" dal  nuovo Stato italiano.

Di fatto l'Unità d'Italia non fu altro che l'annessione al Piemonte delle regioni italiane, e cioè al Regno dei Savoia che invase il Sud d'Italia senza neanche una dichiarazione di guerra e con l'ausilio di un Garibaldi che se andiamo a leggere le tante "controbiografie" fu tutt'altro che l'eroe dei due mondi. Un'invasione che è stata una vera e propria rapina del ricco e colto, all'epoca, Meridione.
Le banche letteralmente svaligiate, terre confiscate, tesori preziosi confiscati.
Questo è stato il Risorgimento italiano.
E' bene finalmente sapere che il Risorgimento è stata un'invenzione a tavolino della massoneria internazionale e che i veri eroi dell'Italia non sono stati i vari Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Cavour, ma, se di eroi si deve parlare, questi furono gli insorgenti del Sud, invaso dalle soldataglie dello stato sabaudo. Una vicenda taciuta, offuscata e manipolata, di cui ancora l'Italia paga durissime conseguenze. Fu la cosiddetta Unità d'Italia a causare l'emigrazione.

E chi scrive non è certo un leghista, ma uno che dal 1968 al 1983 ha militato nel Pci, mentre dal 1992 ad oggi aderisce semplicemente alla religione cristiana senza essere schierato politicamente, ma al solo servizio dell'informazione, la piu' obiettiva possibile.

Lo sapevate che Garibaldi si lasciò crescere i capelli perchè in Sud America violentò una ragazza che gli mozzò un orecchio con un morso? Il tricolore era il simbolo della massoneria emiliana? Il trombettiere del generale Custer nella sconfitta di Little Big Horn era un emigrato di Salerno.

Una storia nascosta, insabbiata e alterata sui libri di storia.
Basta vedere oggi: l'Italia è unità? C'è un amore patrio? Il Nord contro il Sud, L'Est, contro l'Ovest, ognuno porta acqua al suo  mulino. Dunque tra le manifestazioni culturali che si terranno in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia, sarebbe utile inserire anche gli argomenti di riflessione citati.

Intanto sia il Comune di Napoli che quello di Gaeta (Roccaforte della resistenza antisabauda), hanno chiesto ai Savoia ingenti risarcimenti danni. Ma Vittorio Emanuele è troppo inguaiato con la giustizia, con la pesante accusa di associazione a delinquere: flussi e riflussi della storia.


Come vediamo il Sud è i suoi Terroni sono ciò che il Nord ed i suoi Polentoni lo hanno voluto far diventare.


gio K 5000

Fabio, il nord e " i suoi polentoni", è una frase razzista....  (sorpreso)
"liberiamo i telai marci!"

da zero a cento? in giornata....

Telaio Pazzo

Citazione da: gio K 5000 - 14 Agosto 2010, 19:23:22 PM
Fabio, il nord e " i suoi polentoni", è una frase razzista....  (sorpreso)

(?)

..... non voglio offendere nessuno, è solo un'equazione Sud=terroni, Nord=polentoni


Se c'è chi si offende, problemi suoi ...... io non mi offendo  (muoio) (muoio) (muoio)

gio K 5000

Bene, ma allora non lamentarti se ti chiamano terrone!
;D
"liberiamo i telai marci!"

da zero a cento? in giornata....

lucajack2cv

Una lettura interessante Fabio,  mi farà piacere approfondirla.  Rispetto ai pregiudizi l'unica cosa da aver sempre ben presente  Ã¨ che sono ovunque sempre e solo il  normale  effetto  dell'ignoranza che è un male nazionale che non guarisce ma è peggiorato  negli ultimi 15-20 anni.  

O piuttosto non è un disvalore ma un  valore, come tale è pubblicamente promosso:  il ministro dell'istruzione Gelmini –non più pubblica, giustamente- propone la laurea ad onorem per Bossi -suggerirei  in storia contemporanea  e magari per perfezionare lo sfregio alla cultura gliela farei consegnare  dal Cepu  -11 esami in 10 mesi, come dice la pubblicità, a pagamento s'intende-  visto che il ministro delle riforme istituzionali -ma non vi tremano un po' le gambe?-  si è sentito in dovere di visitarlo,  forse per perfezionare il suo diploma per corrispondenza alla scuola Radio Elettra .

Il Risorgimento-o-quel-che-è mi è sempre interessato molto di più ma per la precisione  quel che più mi interessa dell'ottocento è indagare sul come e quando è finito l'ancien regime in quello che ancora doveva diventare il nostro paese,  perché è  quello il momento più importante di tutta la storia del mondo. La rivoluzione americana e quella francese sono gli eventi che dividono la modernità della società dal medioevo della società, perché inaugurano  il concetto di mobilità tra le classi, di cui si servirà prima la borghesia e poi le masse popolari o quelle coloniali e quando questo avviene in qualche posto al mondo quello entra nella modernità e da lì discende tutto: la divisione dei poteri, la rappresentanza, la laicità.. si inaugura un meccanismo che potrà  salvaguardare o  rivoltare l'ordinamento generale, abolire privilegi o crearne di nuovi e con ciò distorcere e asservire  ogni volta valori e ideali appropriandosene facendone parole vuote con cui coprire le malefatte del potere. Ma ciò vale in quel momento,  può essere vinto e stravolto ancora, come accaduto come è accaduto con successo contro i  totalitarismi e può succedere oggi contro queste oligarchie da quattro soldi dalle facce di bronzo che cadranno sotto gli effetti delle loro stesse azioni immorali .

L'assolutismo,  il luogo in cui hai un titolo perché ci nasci e non perché hai vinto il "concorso per un posto da marchese o,  in caso di  secondogenitura, da vescovo"  magari vige nei fatti ma concettualmente non sarà mai più accettato mi spiego: un italiano odierno se onesto studierà, lavorerà, inventerà, produrrà e  guadagnerà  e se spregiudicato  trigherà, manipolerà, corromperà, faccenderà, falsificherà, leccaculerà, criccherà e ruberà..  farà ogni azione corretta o spregevole  perché sa di poter sperare di migliorare così la propria condizione, per poche che siano le speranze di ottenere un meritato vantaggio o un  indegno privilegio. Non sopporterebbe il contrario, cioè  sapere che c'è sopra di lui un detentore di proprietà e di diritti che la legge gli garantisce per nascita e che per quanto potrà contrastare o blandire non ne  otterrà benefici.

E'  un'epoca chiusa e per questo è così importante capire quando si è chiusa e si è avviata –faticosamente- un'altra epoca.  In italia  si è chiusa con lo statuto albertino che introduce il parlamentarismo e  che è stata la nostra costituzione fino al 1948. Se è nata a Torino  e non a Milano, a Bologna, a Roma a Napoli o a Palermo  c'è una ragione, una conseguenza storica che non ha nulla a che fare con lo spirito di  democraticità dei sovrani di quello Stato, in cui  sono stati più forti e duraturi gli effetti della dominazione napoleonica che in tutte le altre zone della repubblica cisalpina. Negli stati  non occupati, il medioevo è proseguito liscio  per la sua strada.

In una mappa piemontese di inizio ottocento vedrete il territorio diviso in dipartimenti intitolati col nome del fiume principale, niente vie o piazze "San qualcuno "  ma la sostanza vera sta sotto la spalmata toponomastica e consisteva  nell'applicazione di un concetto della rivoluzione francese che, astutamente considerando quella cattolica "Religione di Stato",  stabiliva che lo Stato poteva disporre del patrimonio ecclesiastico,  a patto di provvedere al sostentamento dei ministri del culto per il servizio che rendevano alla comunità e per svolgere il quale erano incaricati  dalle amministrazioni locali. In parole chiare  la confisca delle proprietà del clero, immense, che lo Stato rivendeva ai privati.

Naturalmente la Chiesa non dava esattamente una benedizione  a chi ricomprasse -supponiamo-  un cascinale  con annesso contado nelle campagne fossanesi, ex proprietà dell'ordine agostiniano, foss'egli un nobiluomo dei paraggi o il villico fattore arricchitosi a sufficienza per tentare il gran passo. Fortunatamente gli ebrei, che non temevano scomuniche peggiori di quelle già ricevute, intervenivano per poi metterli a frutto o rivenderli (a seconda se i loro diritti civili contemplassero la proprietà o meno dei terreni, diritto fluttuante in base alle convenienze della casa regnante) ed è per questo che la proprietà terriera anziché appartenere tutta a poche famiglie e agli ordini religiosi si spezzettò sempre più.

En passant ciò spiega perché la casa in cui vivo ora  appartenesse a famiglie di contadini già da molte generazioni.

A loro ritorno nel 1815  i Savoia tentarono in un primo momento di attuare la Restaurazione come altrove  ma, ben consigliati,  si resero presto conto che era più conveniente assecondare la nuova classe emergente e mettersi addirittura a capo delle istanze di modernità e riscatto sociale della loro capitale, del loro popolo, del loro Stato e dell'Italia intera ormai  in fermento, beninteso conservando i legittimi  privilegi secondo il loro motto "Avanti Se Stessi"  che integrerei con quello –non ufficiale-  della futura "casa reale in seconda", la famiglia Agnelli: "Tutto, subito e per noi."  

Se ciò costò ai suoi esponenti scomuniche e varie maledizioni pontificie  fino ai patti lateranensi del '29,  aprì  loro prospettive (diciamolo pure, di conquiste coloniali) nuove e durature che i loro concorrenti semplicemente non seppero cogliere.

La casa Borbonica (che conosco meno ma quanto basta per capire che avevano idee ben diverse sulla  antistoricità dell'ancien regime, del feudalesimo, del latifondo e del predominio ecclesiastico-nobiliare, in sud Italia come in Spagna ) aveva una maggiore solidità finanziaria , anche perché se vivi come ai tempi dei servi della  gleba e non fai riforme sociali (ma neanche opere pubbliche inutili o guerre a potenze imperiali)  non spendi poi molto, e che le sue casse furono saccheggiate dagli uomini di potere del nuovo stato unitario è più che credibile.

Questi uomini (politici, militari e amministratori statali) erano tutti piemontesi e lo  sono stati in gran parte fino alla prima guerra mondiale e anche oltre. Progressivamente però, con lo sviluppo dell'industria e del commercio nel nord, trovarono più conveniente rinunciare all'impiego come alti funzionari statali dove vennero sostituiti da notabili del centro-sud, situazione che perdura ancora oggi.  Con lo sviluppo economico del nord si apre tutto un altro discorso ma volevo riflettere soprattutto su come ha fatto uno stato minuscolo e di poche risorse, che faceva di tutto per figurare un po' più grande e potente agli occhi delle potenze europee (vedi la partecipazione alla guerra in Crimea), a cogliere il momento epocale e fare un colpo così grosso.


http://it.wikipedia.org/wiki/Leggi_Siccardi

http://it.wikipedia.org/wiki/Statuto_albertino

http://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_Subalpina

http://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_Cisalpina

http://it.wikipedia.org/wiki/Costituzione_civile_del_clero



LA STORIA
Sotto l'obelisco della laicità
A Torino le chiese non stanno nelle piazze, presidiate solo dai monumenti agli eroi e alle leggi illuminate di Casa Savoia. Come quella che abolì il foro ecclesiastico
di PAOLO RUMIZ


Non posso farci niente se una volta l'Italia era un Paese anticlericale. Non posso farci niente se in questo viaggio risorgimentale trovo continuamente segni e parole di una laicità forte che sono obbligato a riportare; una laicità condivisa in parlamento da tutti i partiti, e parole che oggi nessuno oserebbe pronunciare. Non è colpa mia se Torino è una città dove le chiese non stanno nelle piazze, perché le piazze sono luogo civico e nient'altro, presidiato solo da monumenti di eroi. Mi dicono che qui un vescovo che osò remare contro le leggi dello Stato fu spedito in esilio dal governo d'Azeglio. Fu la dinastia piemontese a liberare il papato dell'ingombro del suo potere temporale, e fu sempre la dinastia sabauda a non volere il crocefisso nelle scuole italiane, perché la classe non era sacrestia. Fu invece Mussolini a rimettercelo, nel 1929. "Prima a iera nen", dicono qui. Prima eravamo uno Stato laico. Cara vecchia Torino, città caserma e bomboniera, faccia sabauda e cuore borbonico degli immigrati Fiat, città multietnica con i panni maghrebini sulle terrazze. Torino solida di portici e con pioggia senza ombrello, senza la puzza sotto il naso di Milano. Città con le valli della Resistenza, città europea - forse l'unica d'Italia - che sta tornando capitale e forse avrebbe dovuto rimanerlo. Torino, ancora, con un sindaco che non sega la panchine ma le inaugura e apre i mercatini di rione. Dal Veneto al Piemonte ho assistito a una mutazione inesorabile. In percentuale, il Veneto ha
il doppio delle parrocchie della Lombardia. E la Lombardia ha la metà dei tribunali del Piemonte. È un Nord bipolare: a Est il campanile, e a Ovest il palazzo reale. La presenza forte dello Stato laico. La senti dappertutto, sotto le Alpi Cozie.

Mio figlio Michele a Torino ci abita felice come un topo nel formaggio. Mi aspetta in piazza Madama Cristina, tra pizzerie e bancarelle, mentre la Mole si accende di giallo, e insieme andiamo a farci un kebab da Horas, l'egiziano di San Salvario. I camerieri accolgono la clientela chiedendo: "Vuoi mangiare, calabrese?", oppure "Siediti là, sporco negro", ed è quanto basta a fare allegria. I rancori etnici dell'Italia metropolitana sono lontani come la Luna.

Anche qui, la leggenda sta nelle targhe sulle strade. In via Santa Teresa ce n'è una assai speciale. Dice: "Giuseppe Garibaldi / libero muratore / qui / disse al popolo / libere parole / il dì XI marzo MDCCCLXVIII / Le logge di Torino / un anno dopo la sua morte / nel dì XI giugno MDCCCLXXXIII / quale memoria posero". Orrore, Garibaldi massone! Peccato che i primi ad accusarlo sono massoni a loro volta, e di tutt'altra risma. Non ci sono più i "muratori" di una volta, che combattevano per la libertà dei popoli.

Ma ora vi racconto come ho trovato il "Sacco nero", la rubrica mangiapreti che imperversò sulla piemontese Gazzetta del Popolo negli anni precedenti all'Unità. Non era roba firmata da Garibaldi, oggi demolito dai clericali come assassino, terrorista e ladro di cavalli. Quello era il Piemonte conservatore del conte di Cavour, di cui nessuno si lamenta. Cavour, che fu scomunicato come Gioberti. O come il federalista Cattaneo, tanto caro alla Lega. Non era morbido con i preti, il conte che fu primo premier d'Italia. Nei fatti, era più duro di Garibaldi, e con lui il partito dei liberali moderati. Non era "un precursore del federalismo", come lo ha descritto Cota, governatore leghista del Piemonte. I cavouriani, come il premier Minghetti, furono il contrario. Sostenitori acerrimi di un centralismo basato su governatori provinciali di nomina regia. Ma vallo a spiegare a chi non vuol capire.

Il ritrovamento del "Sacco nero" ha inizio in una stupenda serata torinese, dall'incontro con Adriano Viarengo, biografo di Cavour, sui velluti rossi del caffè Fiorio, che di Cavour era il locale preferito. È in questo posto da pasticcini e rosolio che il bipolarismo tra i due eroi dell'unità si illumina in tutta la sua evidenza. "Garibaldi era un liberatore che non sapeva come organizzare la libertà" mentre Cavour lo sapeva benissimo. Ed è qui che emergono i dettagli di una guerra sorda, tutta piemontese, tra potere civile e religioso. "Per capire venga con me in piazza Savoia" ordina Viarengo. C'è un obelisco del 1853 di cui nessuno legge la scritta. Eccola: "La legge è uguale per tutti", e poco in là: "Abolito / da legge 9 aprile 1850 / il foro ecclesiastico / Popolo e municipio posero". In calce, il nome di centinaia di municipi e comunità che aderirono alla sottoscrizione per il monumento. È il monumento alle leggi Siccardi, che cancellano la magistratura religiosa, limitano la possibilità di far testamento in favore della Chiesa e anche il numero, esorbitante, di feste religiose. "Da allora non vi fu più pace tra vescovi e monarchia" racconta l'uomo di Cavour. Molti preti attuarono ritorsioni contro i partigiani dello Stato laico, rifiutandosi di dar loro l'assoluzione o di impartire l'estrema unzione. Lo Stato rispondeva a muso duro, sottoponendo i sunnominati al giudizio della magistratura ordinaria.

La casa di Viarengo all'imbocco della Valsusa è una montagna di libri, faldoni, appunti e giornali, tutti più vecchi di un secolo. "Sa, per me il novecento non esiste", sorride scavando nei vecchi numeri della Gazzetta del Popolo come se cercasse nel fondo del tempo. "Qui ce ne sono delle belle". Cerca, nel suo immenso disordine, finché una storia vien fuori. Quella di tale Giuseppe Dario da Felizzano, che in punto di morte chiamò il confessore, il quale "gli disse di non poterlo assolvere se non disdiceva e ritrattava la sottoscrizione sua al monumento per le leggi Siccardi, di cui si era fatto zelante raccoglitore nei dintorni". "Grazie a Dio - prosegue la nota listata a lutto - non prevalsero le perfide macchinazioni ed i neri artifizi del fariseo moderno. Giuseppe Dario raccolse al cuore tutta la sua virtù, si mostrò cittadino italiano e disse: "Io so di non aver fatto male; piuttosto di ritrattare la mia sottoscrizione, muoio senza sacramenti e spero in Dio"". Continua: "Entrarono nella camera del moribondo, colà tratti dallo strepito, la moglie, i parenti e gli amici e sentirono dalla sua bocca l'avvenimento" e chiamarono "il signor prevosto di Rubiana, il quale, da vero pastore e da vero italiano, gli amministrò i sacramenti". Vengono fuori altre storie simili, come quella di Pietro di Santarosa cui pure vengono negati i sacramenti, e intanto arriva in tavola un brasato fumante con patate al forno e un rosso Pelaverga. "Altroché Garibaldi. Se Cavour fosse al posto di Berlusconi - ghigna l'archeologo dell'Ottocento - non solo non ci sarebbe un euro per le scuole religiose e private, ma in presenza di certi scandali di oggi avremmo qualche vescovo in manette".
(14 agosto 2010)


http://www.repubblica.it/rubriche/camicie-rosse/2010/08/14/news/camicie_rosse_14_agosto-6278142/

Oui nous sommes les barbariens de la route..
 Flying home to you..

COIO3

Terrone non mi sembra un epiteto cosi' offensivo, io lo prendo per un I.G.P.  (appl)

Ricordo che se ne parlo' in altri tempi, qui: http://www.2cvclubitalia.com/public/smf/index.php?topic=3309.msg100203#msg100203

A me sembra che terrone sia un termine obsoleto, so per certo che l'epiteto "comunista" e' ben piu' attuale e ben piu' offensivo, e dal comunismo non ti salvi con l'igp  (stupid)


Priviet, Mimmo.
Whatever Works ;)

gio K 5000

Mimmo, di cosa è acronimo igp??
"liberiamo i telai marci!"

da zero a cento? in giornata....

COIO3

Oh caspita, c'e' n'avvocato che mi pedina, la vedo buia  (stupid)

GioKarissimo, Indicazione Geografica di Provenienza

A proposito te l'ho mai detto che ti stimo tantissimo, dico davvero  (appl)


Volemose bbbene, Mimmo.
Whatever Works ;)

gio K 5000

E come si fa a non volerti bene?!
(superok)
"liberiamo i telai marci!"

da zero a cento? in giornata....

lucajack2cv

Questo Rumiz è appassionante, più lo leggo..

La bacchetta del contastorie
Celano porta nelle piazze il mito dell'impresa dei Mille in Sicilia. E riassume la battaglia di Calatafimi: parla otto minuti e pare legga l'Odissea. Altro che convegni rievocativi...



"Mentre i caribardini spingevano i Boiboni / verso poita i Tiemmini / i palemmitani misero a tirare ri baicuni / tuttu chiddu ch'avianu: / bucali, siegge, tavulini, rinali / e ri dicevano paruali a sti vili Boiboni / iccamul'a mare a sti usuipatori!". La voce di Gaetano Lomonaco detto Celano, 42 anni, cuntastorie, echeggia nella notte sul ponte dell'Ammiraglio. È rotta, sincopata per la concitazione. La destra agita una bacchetta come se davanti ci fosse Palermo intera, ma lì siamo solo lui ed io a rievocare lo sfondamento garibaldino. Il ponte è ridotto a un moncone, non ha uno straccio di cartello che lo indichi, non ha più strade né prima né dopo.

Nemmeno il fiume c'è più. L'Oreto è stato mangiato dal cemento e si sveglia come fogna ruggente solo dopo le grandi piogge. Il ponte è un nodo della memoria calpestato dai farisei, dimenticato dal potere, eppure fieramente intatto col selciato alla Luna. Nave nella notte, con a bordo solo il mago e l'uomo che lo segue in camicia rossa. "E mentre ch'a n Palemmo eranu trasiannu / i palemmitani gridavano: libera la Sicilia! / viva Paliemmo e Santa Rosalia!".

Venite qui, voi che vi ostinate a ricordare Garibaldi con sterili convegni, a sentire cos'è un mito. Non si riesce a staccare lo sguardo. Gaetano: spalle forti da operaio, bocca prominente, naso da pugile, stempiatura larga, capelli pettinati all'indietro, occhi verdi accesi, denti come ciottoli di fiume. Normanno e mediterraneo, figlio dei vicoli: il meglio della Sicilia. A maggio, in questo posto, ha recitato la presa di Palermo per le celebrazioni dei 150 anni e non è volata una mosca. Duemila spettatori ammutoliti. Dieci minuti gli avevano dato, lui ne ha usati otto, ma sono sembrati un'Odissea. "Calatafimi - spiega - posso farla durare un istante e un'ora. Dipende dall'atmosfera. Il cunto è preghiera, non puoi recitare se il contesto è sbagliato".

Si combatte, dalle mura è un inferno di schioppettate, e Garibaldi è perplesso davanti ai picciotti di Bagheria che si offrono di aiutarlo. Sono "carusi" con l'anima fredda, cioè il coltello; è così che a Palermo si chiama la lama della morte. Fischiano le pallottole, i ragazzi di malavita aspettano e un luogotenente convince il generale così: due cose hanno di buono sti picciotti, "annu i cutieddi e annu l'onore ri essere palemmitani". Celano si ferma sotto le stelle, e dice: se ascolti sta cosa esci di testa, anche se non capisci niente... È la metrica che ti strega, e la metrica del cunto risale ai greci. "Non è un peccato se si perde sta roba?", chiede col cuore in mano per quest'arte secolare, snobbata da un potere che si nutre di cemento. "Andiamo in bottega".

Lungo la strada racconta del nonno materno Peppino Celano - mitico maestro di Mimmo Cuticchio - l'uomo che gli ha dato il nome d'arte e ha raccontato mille volte il cunto di Garibaldi. Adulti incantati come bambini ascoltavano masticando ceci secchi con lattuga croccante e alla fine lui diceva: "Signori miei docu a lassamo, e si vole Dio n'ata vuota v'a cuntamo".

Era un grande anche nella mimica. "Zu Peppino, tiramu cu cutieddu" lo stuzzicavano gli amici, giochiamo col serramanico, a lama chiusa. Una rappresentazione del duello, in cui il vecchio Celano, anche da vecchio, vinceva sempre. Ecco l'officina, nel vicolo. Prima che la città vecchia si svuotasse, l'arte delle voci si collaudava qui, con i richiami del popolo o dalle grida dei venditori. Ma, come il nonno, Gaetano è anche maestro di mani, oltre che di voce. Costruisce pupi tra un cunto e l'altro, e gli strumenti se li fa da sé, perché la valentìa di un puparo si vede da quello. Una "raspa ri tagghiu" ricavata da una balestra d'automobile. Una "pinna i mariteddu" fatta da punzoni di semiasse. C'è persino la forgia, ci sono le tenaglie da fabbro. "Vengono i giovani dell'accademia di arte drammatica a vedere queste cose, e si appassionano... ma poi non rimangono, sono cresciuti con le playstation e hanno perso l'uso delle mani".

Passiamo a comprare il pane, il forno è ancora aperto alle dieci di sera. La casa, un isolato più in là, la trovi seguendo il profumo di melanzane. La moglie allatta il primogenito, ha apparecchiato la tavola con una caraffa di marsala al centro. Per strada un gattino magro piange, Celano gli lascia un cartoccio di avanzi. "Questa è la mia vita. Oggi faccio un cunto, domani costruisco un coltello, dopodomani faccio un pupo, un altra volta batto il ferro. A mmia non mi puoi mettere a posto fisso".

A Palermo i garibaldini persero la testa a suon di granite, limonate, timballi e sartù. Io schianto davanti a un tortino di patate, una caponata e una parmigiana di melanzane. Il sugo di pomodoro è di una dolcezza sconvolgente. Non ho parole. Qualche mese prima, in uno degli ultimi giardini arabi della Conca d'oro, in casa di Diego Lamantia ho trovato il paradiso dei limoni. Il femminello, l'intardonato, il verdello, la zàgara bianca, e il misterioso limone lunario che produce a ogni Luna piena. Mi persi, nel labirinto di quell'Eden nascosto. "Chi si occupa di noautri miserabili?" disse il vecchio, "spericuddando" (tagliando il picciolo) un mandarino Avana, alludendo ai prezzi assassini della vendita all'ingrosso. Me ne offrì uno, ma io ero così ubriaco di meraviglie dimenticate che quasi non me ne accorsi. Zucchine centenarie, albicocchi maiolini, nespoli, cardo bagolario, broccoletti, fichi d'India, perfino il loto in versione nana. E in mezzo un ruscellare di canaletti d'irrigazione, un pullulare di rane, lumache, gambusie, babbalugge e piccoli rettili d'ogni tipo.

Esco, sento Gaetano che canta la ninnananna. "Specchio ri l'occhi mia, faccia d'arancio, ca mancu p'un tesoru io ti canciu. Ora s'addurmiscìu o figghiu miu, guardatem'illu vui matre Maria". A Nord, verso il Cassero, le strade che fecero l'Italia non le abitano più nemmeno i fantasmi. In via dei Mille è sparita la croce di ferro dove i palermitani attaccavano le membra degli impiccati prese dal patibolo. Via Garibaldi, quasi un vicolo: poliziotti a colloquio con prostitute dell'Est. In una piccola piazza con gelateria, raduno di auto piene di maschi con radio a tutto volume. Un disperato prende a calci il muro accanto al bancomat, l'ottavo della serata - dice - che non funziona.
 
(19 agosto 2010)
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http://www.repubblica.it/rubriche/camicie-rosse/2010/08/19/news/la_bacchetta_del_contastorie-6367567/


Oui nous sommes les barbariens de la route..
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lucajack2cv

Anche questa del mito garibaldino in Urss è fortissima..

La storia del partigiano Grozni Sulle orme del ceceno Vassili, comunista convinto, che si "arruolò" nella 62esima brigata Garibaldi, catturato dai tedeschi, morì in una cella a Fiorenzuola d'Arda. E' ancora mistero sulla scomparsa delle ossa del combattente, emulo dell'eroe dei due mondi. Forse le ha prese il ministero dell'Urss. Ma negli archivi sovietici non ce n'è traccia.



"È buio di novembre. E la notte del 21 novembre 1944 i fascisti dissero al russo che avrebbero lasciato aperta la porta della prigione. Ma era una trappola, e appena lui saltò il muro del giardino insieme a un altro partigiano, quelli fecero fuoco. Aveva 33 anni. Il corpo fu trovato in condizioni spaventose". Abbaiare di cani, gracidare nei fossi, un concerto di grilli tra la pianura e le falde d'Appennino. Che ci facciamo qui, luogotenente Cariolato, protettore e padrone della mia camicia rossa, in questa notte rovente sulla Via Emilia, davanti a una limonata fresca e un Gutturnio, dopo avere attraversato il Po? Che ci facciamo tra Solferino e la Linea Gotica, in questa terra di campi di battaglia che da secoli sputa pallottole e punte di freccia? Semplice. Siamo venuti a sentire una storia terribile, di quelle che valgono una deviazione. La storia del partigiano Grozni, che morì per seguire Garibaldi un secolo dopo. Vassili Pivovarov Zakarovic, combattente della libertà italiana. Per sentirla dagli ultimi testimoni viventi, questo 25 aprile, Eduard - il figlio che lui non ha mai conosciuto - ha valicato gli Urali e fatto 5 mila chilometri via terra. E ora siamo qui anche noi.
Luna incendiaria, nubi a brandelli, e Franco Sprega racconta nella veranda della sua casa solitaria di San Protaso a due passi dall'argine dell'Arda. È anche lui un uomo in guerra col dilagare dell'oblio. Da un decennio strappa agli ultimi testimoni pezzi di racconto sulla Resistenza, e stanotte ascolto le sue parole secche, accento in bilico tra Emilia e Lombardia.

Vassili dunque, russo di Grozni in Cecenia. Ingegnere edile e soldato dell'Armata Rossa, viene fatto prigioniero nel 1941, al primo sfondamento dei tedeschi verso Est. La famiglia perde le sue tracce. C'è solo un bigliettino, trovato sulla linea ferroviaria a Sud di Pietroburgo. Dice: "Mi stanno portando in Europa". Vassili è comunista convinto. Ha perso il padre da bambino, gliel'hanno ucciso i "bianchi" nel 1922, crocefiggendolo sulla porta di casa. Ricompare in Italia dopo l'8 settembre, in Padania, al seguito dei nazisti che entrano in Italia. È uomo prezioso, sa maneggiare il cemento e la dinamite. Impara il tedesco, senza darlo a vedere, e un giorno sente le SS parlare di "garibaldini sui monti". Rossi anche loro, come i Mille. S'infiamma e decide di raggiungerli, Garibaldi è il suo mito. In Russia i contadini lo venerano, ne tengono in casa il ritratto. Ed è in Russia, sul Mar Nero, che Garibaldi marinaio ha sentito parlare per la prima volta di Mazzini e di libertà.  Fugge, sale in montagna, si presenta al comandante Tobruk in val d'Ongina, dice di essere ingegnere e capace di fare la guerra. Una sarta di Vernasca, oggi 92enne, lo ricorda bene. Alto, capelli neri, baffetti, spalle ricurve e fisico notevole. Educato, distinto, affabulatore. Lo prendono nella 62a brigata Garibaldi, comandata da un montenegrino, Giovanni Grcavac, Giovanni lo slavo. "Giuan a slav", un'altra leggenda vivente.
Franco continua, stentoreo, mentre la notte rilascia profumi sconvolgenti. "Ci sono altri garibaldini russi nella sessantaduesima. Dimitri Nikoforenko, Josip Bordin, Ivan Nustej. Vassili sceglie il nome di battaglia di "Grozni" e compie azioni mirabolanti. Copre la ritirata dei compagni dopo le incursioni sulla via Emilia. Un combattente nato. Ma nel novembre viene ferito e catturato. Lo scortano a Fiorenzuola, nel municipio che nel frattempo è diventato posto di comando di tedeschi e repubblichini.

E qui la storia diventa mito. Il municipio con la cella di Vassili è dietro il macello e la casa del fascio; e la via si chiama Garibaldi. Ma non basta: a destra del portone, c'è il busto in marmo del generale per cui Grozni ha combattuto. Sotto c'è scritto: "Del lampo della tua spada / stupirono due mondi / La tua parola d'amore / l'ascoltarono i secoli". Anno 1883. Difficile che il russo non riconosca il suo generale, varcando la soglia fatale. Vassili non uscirà più da quel palazzo. I tedeschi vorrebbero scambiarlo con loro uomini prigionieri dei partigiani, ma i fascisti la pensano altrimenti. In cella con Grozni c'è Albino Villa, nome di battaglia "Sten", uno che sa troppe cose e ha troppo fegato. Lo vogliono far fuori e, per ammazzarlo, fingono di agevolarne la fuga, lasciando la porta aperta. I due corpi saranno trovati per strada, trasferiti a Castell'Arquato. Poi trafugati e sepolti in montagna. Insieme.

L'indomani andiamo a vedere il posto, a due passi dalla via Emilia, la "cuntrè drita" che accieca di luce bianca. La topografia è ancora quella, terribile, delle lotte sociali, della repressione e delle vendette. Franco sa tutto. Qui il tale fu arrestato, lì avvenne la tal delazione, lì si torturava, e lì in fondo vive ancora la vedova di un ufficiale morto a Mathausen. E la storia si intreccia continuamente con quella del secolo prima. Nel Comune, un ex convento cistercense, c'è la camicia rossa insanguinata di Riccardo Botti, ucciso a sciabolate sul Volturno.

Ma torniamo a Vassili. Nel dopoguerra gli storici della Resistenza si imbattono nelle sue tracce, ma non ne sanno il nome. E così, quando nel 1971 il ministero della Difesa gli conferisce la medaglia d'argento alla memoria, il titolare viene indicato col solo nome di battaglia. Grozni, appunto. Ma la notizia trapela nell'Urss, il figlio dell'eroe la apprende per caso dalla radio e capisce che quello è suo padre, non può essere che lui. Così, un anno dopo, quando il Comune di Fiorenzuola pensa di dargli la cittadinanza onoraria, ha finalmente un nome cui attribuirla. Negli archivi del municipio c'è ancora la delibera, che certifica la decisione unanime, il 25 novembre 1972. La figura del garibaldino russo è così nobile che ha votato a favore anche l'Msi, il partito dei post-fascisti.

Ma non c'è pace per Grozni. Le sue ossa scompaiono, e anche la lapide viene trafugata dal cimitero di Castelnuovo Fogliani. Forse è stato il ministero della difesa dell'Urss, ma non restano tracce della traslazione nel caos degli archivi sovietici. Anche la medaglia d'argento, messa in una teca al museo di Grozni, in Cecenia, scompare, tra le macerie della città, fatta a pezzi come Stalingrado nella guerra caucasica degli anni Novanta. Oggi di Vassili, combattente per la libertà d'Italia, non resta che una lapide, all'esterno del palazzo che vide la sua fine, e il destino ha voluto che quella lapide finisse accanto a quella di Garibaldi.

Che storia, eh, luogotenente Cariolato? Ma dimenticavo. Chiamatemi pure "111.796". È il numero della mia tessera dell'Anpi, che ho preso a Trieste alla partenza. Mai avuto tessere in vita mia. Ma stavolta che l'Italia non è più di moda, con questo viaggio che è un po' resistenza, non ci ho pensato due volte.

Oui nous sommes les barbariens de la route..
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Vicè

Grazie alla connessione ballerina mi erano sfuggite queste chicche. Rimedio suuuubbbito!  (abbraccio)

Croccantini piliferi? e chi li vuole?
Beh... i capelloni, no? I cantanti folk e i motociclisti!

luigi spino

Non voglio aprire nuovi 3d, anche perché questo mi sembra adattissimo a ospitare il ricordo di un personaggio che, pur sardo in realtà, era diventato un vero e proprio simbolo della sicilianità e del sud

Tiberio Murgia

Tiberio Murgia e Claudia Cardinale - Dal film "I soliti ignoti" (1958)

Addio meraviglioso "Ferribòtte"

(piango) (piango) (piango)
  in hoc signo vinces

Aspes

Non sapevo della sua morte ( ho guardato in Internet ) ... e' stato un grandissimo caratterista .. qualche tempo fa l'avevo visto come ospite al programma di Carlo Conti ( non mi ricordo il nome ) ..

Mi dispiace davvero ....
Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nelle testa,
e il cuore di simboli pieno.

gio K 5000

L'ho sentito adesso in tivvù!
Che personaggio....
"liberiamo i telai marci!"

da zero a cento? in giornata....

lucajack2cv

Citazione da: luigi spino - 21 Agosto 2010, 17:40:15 PM
Non voglio aprire nuovi 3d, anche perché questo mi sembra adattissimo a ospitare il ricordo di un personaggio che, pur sardo in realtà, era diventato un vero e proprio simbolo della sicilianità e del sud .. Tiberio Murgia

Un eroe nazionale, almeno del grande schermo  (su).. Già prima di farne, la sua vita era un film ;D

" Nato da una famiglia povera, inizia a lavorare fin da giovanissimo come manovale. A venti anni è venditore ambulante de l'Unità, l'organo di stampa del Partito Comunista Italiano.

I dirigenti della locale sezione del partito intravedono in lui particolari doti politiche e lo inviano a Frattocchie, in provincia di Roma, dove ha sede la scuola nazionale per i dirigenti del partito. Al suo rientro, sei mesi dopo, diviene segretario dei Giovani Comunisti e si sposa.

Dopo qualche tempo però inizia ad intrattenere una relazione con una compagna di partito, a seguito della quale, per lo scandalo destato, viene espulso dal PCI. Murgia emigra quindi in Belgio a Marcinelle, il grande centro carbonifero che vede impiegati come minatori diverse migliaia di lavoratori italiani.

Anche lì stabilisce una relazione sentimentale con la moglie di un collega belga e scampa rocambolescamente alla morte quella notte fatale del disastro di Marcinelle, nel quale un'esplosione di gas uccide tutti i minatori del suo turno, compreso il marito della signora. Murgia infatti si era finto malato per potersi intrattenere con la donna.

Murgia ritorna nella sua città natale ma è costretto ad emigrare a Roma per sfuggire all'ira dei familiari di un'altra giovane donna che egli corteggia nonostante sia già sposato.

Nella capitale inizia a lavorare come lavapiatti in una trattoria del centro (Il re degli amici) fin quando viene notato da un'assistente del regista Mario Monicelli, che lo invita in studio per un provino...
"


Qui una puntata calabrese del viaggio del sig. Rumiz e della sua camicia rossa..

"L'odore della sconfitta
Sull'Aspromonte, attraversando una terra che sa di disfatta. Qui hanno perso tutti: i Borboni, l'Italia, i liberali, i contadini. E pure Garibaldi, ferito dalle truppe del suo re

di PAOLO RUMIZ

Calabria. E adesso, caro luogotenente Cariolato, tu che mi accompagni e sei padrone della mia camicia rossa, spiegami un po' perché dall'Aspromonte fino a Napoli fatico tanto a capire cos'è accaduto alla vostra spedizione. È tutto così strano. Ci avete messo tre mesi a far vostra la Sicilia, e poi vi bastano poche settimane per conquistare tutto il resto. Eravate diventati trentamila, è vero, ma in casa borbonica un'intera catena di comando si è squagliata, come l'8 settembre '43. Dimmi: tra Messina e Napoli è successo davvero qualcosa, o la vostra è solo una fatamorgana, come la fine del comunismo in Romania?

Montagne arcigne, frane, cemento criminoso. Avete stravinto, mi dice Cariolato. Ma allora com'è che stiamo entrando in una terra che sa di disfatta? Sconfitti i Borboni, sconfitta l'Italia, sconfitti i liberali, sconfitti i contadini. Sconfitto pure Garibaldi, che torna due anni dopo perché capisce che l'Italia ha tradito le promesse, e viene ferito dalle truppe del suo re perché l'Ordine ha sostituito la Rivoluzione. Molti dei tuoi compagni sono fucilati, gettati in prigione, e il Sud diventa la tragedia di tutti, tranne che per i latifondisti e la mafia. "Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali - scrive il Generale - sono incommensurabili. Non ripeterei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di esser preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e odio".
Viaggeremo in una doppia tragedia, quella di uno Stato borbonico che si dissolve, si lascia comprare, diserta, umilia chi resta al suo posto e manda al potere i voltagabbana; e quella di un condottiero che prima fa l'Italia e poi viene liquidato come un brigante. In una lapide a Centùripe abbiamo letto parole di sdegno per quell'umiliazione: "Il mancato parricidio d'Aspromonte / ferì il cuore della nazione / marchiò d'infamia il nuovo regno / non distolse l'eroe / dalla magnanima impresa / non offuscò la sua fede / nel trionfo di Roma". Ma Centùripe è Sicilia. Qui in Calabria è altra cosa. Garibaldi smette di essere un mito.

Preparati, amico mio. Ora escono dall'ombra gli spettri del passato. Nella Locride, per esempio, non riemergono dal tempo solo rovine greche e bronzi di Riace. Ora tornano anche i re borbonici che, sotto forma di busti o ritratti, furono frettolosamente nascosti dagli opportunisti all'arrivo dell'Italia, oppure religiosamente sepolti dagli ultimi nostalgici in qualche cripta del terreno, al riparo da mano sacrilega. Raccontano che a Gerace, poco tempo fa, è caduto un piccolo muro in un ufficio pubblico, e dietro la breccia nei mattoni è apparsa la faccia terribile e un po' imbolsita di Ferdinando II, un busto in ghisa confezionato nella reale fonderia di Mongiana, poco lontano dal convento di Serra San Bruno. Ora conviviamo con la sconfitta. Quando a Vibo in un pomeriggio di estenuante levantazzo troviamo da dormire poco sopra la cattedrale, scopriamo di abitare nella stessa casa dove dormì Gioacchino Murat, l'ex re di Napoli al tempo di Napoleone, alla vigilia della fucilazione sulle coste del Tirreno. Ci segue anche la maledizione di Bronte e dei suoi morti innocenti: incontro l'avvocato Francesco Tassone, specialista della questione meridionale, e scopro che è stato parte civile al processo postumo contro Nino Bixio, il malfamato esecutore, e che (per omertà unitarista) allora qualcuno decise di non emettere la sentenza "per estinzione del reato", a causa della morte del reo.

Che meraviglia, gli intellettuali illuminati del Sud. Non attaccano con rancore neoborbonico o gli argomenti clericali dei padani. Attaccano sui fatti. Tassone a 82 anni lavora ancora per costruire cittadinanza e invertire la politica intesa come "industria della protezione", termine che ho trovato di sublime chiarezza. Il Meridione, dice, non è Italia. Fu la prima delle colonie. Poi vennero l'Eritrea, la Libia, l'Etiopia e la proclamazione dell'impero. Parole toste, vero, luogotenente Cariolato? Ma noi non abbiamo paura di sentirle. Non temiamo il vero. Nessuno più di un garibaldino conosce i tradimenti dell'unità. "Siamo tuttora una colonia - insiste sorridendo l'avvocato - e la Lega ha ragione: il Sud non esiste, non ha senso di appartenenza. I nostri parlamentari non difendono l'identità locale; sono solo ascari che vendono voti in cambio di assistenza, e questo meccanismo attira la criminalità organizzata. E poi c'è stato l'infeudamento della classe dirigente meridionale, favorito dal Piemonte. Ovvio che così dell'unità non resti più niente". E di Garibaldi cosa resta? "Ce lo inculcarono da bambini, con l'acculturazione fascista di massa. Ricordo che mi commossi per la storiella del generale in lacrime davanti a un grillo senza una zampetta... Ma tra i contadini c'erano altri miti, c'era Murat che gridava "Sparate al petto a me" al plotone di esecuzione, c'era Giosafatte Talarico che difendeva i poveri dalle angherie dei nobili, c'erano alcuni irriducibili briganti aggrappati all'autogoverno del territorio. Negli anni ho cominciato a rileggere Garibaldi fuori dal mito. Ora lo vedo come un buon combattente, ma con idee poco chiare in politica...".

A cena da "Gregorio" a Maierato, a picco sul mare con la mia camicia rossa a capotavola, briciole di mito riemergono nel dialogo con gli ospiti locali. Anna racconta di nonna Teresa a Curinga che conservava come una reliquia un calzino blu scuro di Garibaldi che pernottò in casa sua, calzino che poi sparì in un furto di mobilio. E poi ancora lapidi a Maida, Soveria, Castrovillari. Peppino sbuffa, è insofferente con chi critica il generale. "Ma lo capite? Qui non c'era un c...; solo pane e cipolla, il potere dei vescovi e dei feudatari. Neanche il barlume di un'idea... Invece Garibaldi l'idea la portò, e non la tradì! Non sopporto gli st... che gli tirano pietre. Non ha infranto nessuna promessa. E poi in Aspromonte c'è tornato, sì o no?". L'indomani a Lamezia trovo il libro giusto: Roberto Martucci, "L'invenzione dell'Italia unita". Lettura disincantata e non preconcetta. Il capitolo su Soveria è inquietante. Garibaldi ha di fronte un campo trincerato con diecimila uomini e cannoni. Lo comanda il generale Ghio, uno tosto, che ha sbaragliato Pisacane a Sapri. Ma la guarnigione si scioglie come neve al sole. Che è successo? L'ipotesi, da accertare, è che Garibaldi abbia promesso ai soldati le terre della Sila. Promessa mantenuta? Per niente. Qualche anno dopo il governatore della zona, Donato Morelli, minaccerà la fucilazione a chiunque dovesse avanzare una richiesta simile. E non basta: il generale Ghio sarà nominato comandante della piazza di Napoli.

Trovo altri libri, con foto di Garibaldi, cerco pagina per pagina se c'è un documento del famoso orecchio che i clericali vorrebbero tagliato. Niente da fare. Tirem innanz. Si continua alla baionetta.
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