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Aperto da paoloDòCavaj, 26 Gennaio 2013, 08:37:47 AM

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Skassamakkinen

 (muoio) (muoio)

HEY
FALCO!

Probabilmente, l' immagine, la vedi solo tu....

Io vedo solo un quadratino nero con una x bianca sopra...   (su)
La fretta è spreco.
Spreco, è ciotola spaccata che non avra MAI riso.

claudyane6

Citazione da: Skassamakkinen - 28 Ottobre 2016, 23:23:14 PM
(muoio) (muoio)

HEY
FALCO!

Probabilmente, l' immagine, la vedi solo tu....

Io vedo solo un quadratino nero con una x bianca sopra...   (su)

quindi nessuna barra sotto

Paolon



SCUSAS SEMI!
Sto cercando di inserire direttamente da DropBox qui le immagini

Sembrava possibile ... ma m..rda  (muro)
FORUM:ormai parte della "Nostra Storia"
Tenerlo in vita, scrivere, collaborare, è anche dire"grazie" a chi lo ha progettato, realizzato, migliorato, difeso in tutti questi anni

Skassamakkinen

 (muoio) (muoio) (muoio)
(abbraccio) (abbraccio)

No problem, Paul!

Ti dico la verità..  Mi aveva "preoccupato" il titolo dl tuo post..

Poi, vuoi un consiglio?  Carica alla vecchia maniera, che non tradisce mai..

Stammi bbuono, Paisà!  ;D
La fretta è spreco.
Spreco, è ciotola spaccata che non avra MAI riso.

Paolon


10/10 MUSEO SEGALE
https://youtu.be/3B6CWFGMuO4

Un ringraziamento va

-   agli "Zoccoli Duri"
che con questo incontro fra appassionati di 2CV ci hanno dato la possibilità di conoscere un'altra parte della nostra Italia

-   agli abitanti di Sant'Anna, a Clara Lovera
che ci hanno restituito un paese ancora vivo non solo di passato ma anche di Presente

   (guid)
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bulè


Paolon



... sono io che "RINGRAZIO" voi

Semplicemente i "Tempi del Pensionato"  mi permettono anche di riflettere di più su questa mia e vostra passione.

E il Vostro, e di pochi altri, modo  di ritrovarvi, di condivisione semplice pur nelle sua complessità organizzativa e austerità piemontese,  mi ha sempre colpito, mi fa rivivere i primi empiti citronici di ormai più di 45 anni fa, e me ne propone altri di interessanti, nuovi, stimolanti.

La mia non è altro che una Restituzione di quello che questo Mondo mi ha dato e lo faccio con leggerezza e piacere vedendo che da alcuni giovani viene bien accolto.

   (felice)


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Paolon




dalla presentazione

"Nel Medioevo si viaggia per ragioni politiche, per lavoro, per pregare o per studiare: sulle strade si incontrano re e mercanti, pellegrini e fuorilegge, chierici e giullari, emarginati e cavalieri erranti.
Si naviga nei fiumi, nei laghi, nei canali, nei mari e nell'oceano.

Nell'osservare da vicino questa variegata umanità itinerante, il libro la raffigura mentre attraversa paesi e continenti, ne ricostruisce i percorsi, le fatiche, le paure, le emozioni.
Che cosa significava mettersi per strada lasciando la propria casa alle spalle,
come si viaggiava in concreto,
quali erano le conoscenze geografiche e le rappresentazioni fantastiche,
quali i paesi conosciuti,
quale il rapporto con le genti straniere?"

(felice)
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claudyane6

paolon, mi hai fatto pensare al candido di moliere..

che somiglia un po anche a forrest gump

Teno

Interessante il museo della segale !!! è una delle coltivazioni alla quale vorrei dedicarmi prossimamente!!

Bravo Paolon (appl) Grazie
...quei tempi non ci sono più... Solo per questo, anche se non lo erano, ci sembrano meravigliosi, e il trovarcisi dentro, sia pure per un breve incantesimo, è un lusso raro e squisito.   - Dino Buzzati -

m.real

in fondo al tunnel ce sempre una luce

Paolon


          un articolo sintetico ma molto illuminante  (felice)

PROTESI TECNOLOGICHE DELL'IO
Selfie e action cam capovolgono il ruolo di fotografo e realtà
Il Sole 24 Ore - 5 Jun 2016
di Peppino Ortoleva

Uno dei primi teorici della fotografia, l'americano Oliver Wendell Holmes, diede una definizione fulminante, e da allora citatissima, di quel dagherrotipo che brevettato nel 1839 ha aperto la strada alle immagini fatte a macchina:
«Uno specchio dotato di memoria».

Quando poi a quei suggestivi ritratti racchiusi in una cornice di vetro e metallo subentrarono nuove tecniche, fondate sulla produzione di un negativo da stampare poi su carta, e si diffuse l'abitudine della fotografia su cartoncino, sempre Holmes parlò di una
«cartamoneta sentimentale della civiltà»,
fatta soprattutto per passare di mano in mano, come il denaro circolante.

Il selfie, l'uso della fotocamera digitale o del cellulare per effettuare autoritratti, che ha conosciuto agli inizi del XXI secolo una diffusione straordinariamente rapida - secondo alcune fonti sarebbe nato proprio nel 2001 o nel 2002, ma si tratta sempre di datazioni piuttosto arbitrarie -, sembra assommare in sé tutte e due le definizioni date allora da Holmes.
Che il selfie sia una sorta di prolungamento tecnologico dello specchio, destinato se non proprio alla "memoria" futura quanto meno a prolungare nel tempo l'istante spesso occasionale in cui è stato prodotto, non c'è dubbio; un'immagine in cui ci riconosciamo non tanto perché ci rassomiglia quanto perché è stata prodotta nel nostro display da un nostro gesto, e perché farla è stata un nostro divertimento.

Ma è altrettanto evidente che il selfie sarebbe un fenomeno ben diverso, e non esisterebbe nella forma in cui oggi lo conosciamo, senza la vorticosa messa in circuito dell'immagine anche la più privata, che passa naturalmente per i social network, ma anche per email e Whatsapp. Un circolante non tanto "sentimentale" quanto scherzoso e narcisistico, come tanti dei contenuti che vengono immessi nella rete.

Se dal tempo di Daguerre in poi la retorica dominante della fotografia è stata espressa dalla parola stessa che definiva l'occhio della macchina, l'obiettivo, la depersonalizzazione dello sguardo imposta dall'intervento della macchina (e l'"obiettività " attribuita al mezzo è alla base del valore di prova largamente riconosciuto alle sue immagini), con l'avvento del selfie si è venuta imponendo una simmetrica e opposta retorica della soggettività: la fotografia non come documento di realtà "catturate" dalla macchina dal punto di vista del suo proprietario, ma come prova della realtà del fotografo dal punto di vista della macchina.

Questo ci aiuta a capire l'ossessione del "farsi un selfie" con i personaggi famosi, che ha preso il posto di una passione rimasta viva per tutto il corso del Novecento, quella dell'autografo.
Se prima a prevalere erano la passione collezionistica del possesso e quella feticistica della traccia,
ora siamo alla celebrazione della compresenza, con il display come testimone e la rete come circuito senza il quale quella celebrazione sarebbe priva del suo rito.

Ma c'è un'altra forma di rappresentazione tecnica e fotografica della soggettività che sta emergendo.
Se la Go-Pro, nata nel 2002 da un'azienda di piccole dimensioni e pensata soprattutto per l'ambito di nicchia degli sport "di vertigine" moderni a cominciare dal surf, è diventata in pochi anni un nome noto in tutto il mondo e ha dato vita a un modello nuovo di apparecchio, quello delle cosiddette "action cam", questo non è dovuto soltanto al fatto che si tratta di un piccolo prodigio di tecnologia a un prezzo accessibilissimo, ma anche al fatto che porta con sé, letteralmente, il mondo in soggettiva. Dove il soggetto-autore a differenza del selfie non è visibile, ma al centro c'è l'esperienza irripetibile fissata da un terzo occhio, da una sorta di telecamera di sorveglianza dove siamo noi la telecamera. Non solo il prolungamento del nostro sguardo, ma di tutto il nostro corpo.

Il selfie e l'action cam: sono due protesi tecnologiche dell'io apparentemente molto diverse,
a-una aperta a tutti gli apparecchi capaci di fotografare, a cominciare dal telefonino,
b-l'altra riservata (per ora) a specifici apparecchi;
a-una allude al narcisismo elementare, infantile, del guardare la propria immagine,
b-l'altra a quello più adolescenziale del mostrare la propria prestazione;
a-una porta con sé, proprio per attenuare il narcisismo, un elemento quasi ineliminabile di giocosità,
b-l'altra può prendersi terribilmente sul serio fino a correre veri rischi per documentare una prodezza.

Ma come spesso accade c'è a unirle qualcosa che classicamente si chiamerebbe "lo spirito del tempo": che sta rovesciando, magari inconsapevolmente, i modelli su cui la fotografia si era basata per più di un secolo e mezzo.
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Tenerlo in vita, scrivere, collaborare, è anche dire"grazie" a chi lo ha progettato, realizzato, migliorato, difeso in tutti questi anni

Paolon



https://youtu.be/nWXhxCZTZ6A

.....ma fu Vera Gloria?
una mia piccola considerazione alla fine, fuori campo
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Paolon

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Pier Le Blanc


Ciao Paolo, vedo che con gli "slide show" ormai c'hai preso gusto e te la cavi bene. Fra un pò, scommetto che cederai alle meravigliose lusinghe dell'arte in movimento e girerai più filmati e scatterai meno fotografie. Vedremo se ho ragione.
(felice)
.
"Non c'è nulla come la fretta che faccia perdere tempo"
"Non rompere le scatole a chi è felice"

Paolon

Non è che ci ho preso gusto e neanche che sia una questione o scelta di tecniche.

Ho finalmente il Tempo per dedicarmi ad una Restituzione per quello che ho avuto anche da questo mondo citronico

E molto di me , del mio sentirmi, del mio essere l'ho trovato ancora quà e la in questi giovani.
In mezzo a loro, continuo a scoprire ancora "qualcosa di più e di più-in-la"

I miei tempi lenti mi permettono di osservare, di guardare non solo il Centro, ma anche quello che sta Intorno.
E' la scoperta che anche nelle cose apparentemente Semplici, come un raduno, si possono talvolta trovare cose Complesse, importanti, ma che solo la Lentezza, Curiosità e i Tempi Lunghi sanno cogliere.

E allora " prendo appunti" ( non certo "foto artistiche") da locandine, mostre, lapidi, insegne, negozi, da qualsiasi cosa mi scateni un'idea, un sentimento, una domanda : sono foto, scritti, immagini che poi propongo ad altri che non possono ancora permettersi i regali che il Tempo da Pensionato ogni giorno mi fa scoprire.

Contento di risentirti e di leggerti anche se apparentemente problematico: forse è il pregio/limite della nostra generazione?

paolo
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Paolon

Sant'Anna di Valdieri – 5 settembre 2016
ZoccoLandiasi smonta e sentimento del Ritorno
capitolo 13 - FINE


".. ma allora,
dice Alice,
se il Mondo non ha assolutamente alcun senso,
chi ci impedisce
di Inventarne uno?"

                                                                             da:Alice nel Paese delle Meraviglie

E così, dopo abbracci ed arrivederci, di nuovo sulla Strada, questa volta verso casa.

Un itinerario conosciuto
che mi permette di lasciarmi andare
  a pensieri fluenti,
immagini colorite,
nuovi vissuti
  a creare dentro di me
qualche cosa ancora
di Nuovo e di Diverso.

La Strada è anche questo:
concede, come i sogni,
di scaricare il senso del tempo
per far largo a qualche cosa di più,
  "oltre".

https://youtu.be/A_OBcrregL8
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Paolon

14-PARTENZE

https://youtu.be/ZctJRQDNnUM

quello che segue è il testo su cui si sviluppa il video

PARTENZE
(dopo un raduno)

Sembra che pian piano
qualche cosa si spenga

I Pieni si fanno poco per volta Vuoti

I Volumi si riducono con fatica in contenitori e sacche
che ora risultano scarse o sottodimensionate

Tiranti si avvolgono

Teli si piegano

Picchetti umidi si estraggono dalla terra grassa

Imprechi a intermittenza si levano
nel tentativo di chiudere
le irriducibili Quechua

E' il trionfo
dei grigi sacchi di scarti, eccedenze e rifiuti

del vario luccichio di vetri verdi, trasparenti,
ombreggiati dal rosso o dal biondo

del prato che si nobilita a tavola indefinita

del disteso, del pieno che, nuovo,
si espande a caos

Si cerca svogliatamente di ricomporre
un improbabile ordine

Poi tutto mirabilmente si comprime
all'interno magico di queste vetturette

sbattono le porte a sigillare la riuscita,

e i candidati viaggiatori
si sentono prossimi alla strada

tirano il fiato

ritornano, per un attimo, a guardarsi intorno
alla ricerca degli ultimo abbracci e saluti.

La mano sul pomolo della serratura
vuole Partenza

Lo sguardo indugia ancora
su chi resta

E resta, li, ancora, un attimo


Un popolo transumante
che se oggi parte
e lentamente si disperde,
sa che prima o poi si ritroverà

rinnovando
il rito dell'incontro,
del discorso mai finito,
del cibo di casa condiviso,
del bicchiere, unica barriera agli sguardi
che si studieranno, ancora,
all'insegna del tempo che passa,
ma che sembra, qui,
sostare
fra queste lamiere
                      di sempre.


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Paolon



Paola Mastracola
da:
"ADDIO LIBRO DELL'ESTATE"
Partire, Leggere, Diventare..


.. i libri che aggiungo sono i libri che non leggo da una vita e che ogni volta mi riprometto di leggere.
Per esempio mi porto sempre l'Ulisse di Joyce, La cognizione del dolore di Gadda.
Iniziati una quarantina di volte nella vita. Mai oltrepassata la metà.
Ho smesso di chiedermi perché, ma ogni volta penso sia la volta buona, che ce la farò: sento nascere in me, al momento di fare i bagagli, una incontenibile, smodata curiosità per loro, una vera attrazione fatale che mi convince che a quel punto li leggerò di sicuro.
Così; in prossimità delle vacanze, ogni anno, li metto in valigia. Do a loro, e a me, l'ennesima possibilità.

CREDO CI SIA UNA STRANA RELAZIONE TRA IL LEGGERE E IL PARTIRE.
Non importa per dove né per quanto.
Partire in sé vuol dire vivere un'altra vita, diversa da quella comune che viviamo tutto l'anno. Anche solo se andiamo in campagna, a trenta chilometri da casa.

Vuol dire diventare noi diversi. Forse ci sembra di essere un altro, cioè che a partire non siamo noi, ma una persona che manco ci assomiglia, e che quindi farà cose diverse, si comporterà in tutt'altro modo.
Per esempio finalmente leggerà quel meraviglioso capolavoro di Carlo Emilio Gadda.

È come se il semplice spostarsi di luogo implichi una personale e totale metamorfosi di sé.
Uno fa i conti con la sua intera esistenza, quando parte.
Foss'anche solo per pochi giorni, rivede la sua vita e, in qualche modo oscuro,pensa a ciò che non ha mai fatto, alla persona che non è stata.
E progetta quel che vorrebbe così, di colpo, in una settimana, diventare.
Una sorta di perenne e ripetuta seconda chance che, ci insegnano i film edificanti, non si nega a nessuno.

PER QUESTO È COSÌ BELLO PARTIRE.
È un esercizio metafisico, in cui proviamo ad architettare altre vite, ci apriamo alle possibilità inattuate di noi.
E naturalmente men che meno importano i libri che ci portiamo dietro e che, ovviamente, rimarranno non letti.
Come sempre.
Non importa: il viaggio che hanno fatto con noi, nella nostra valigia, ci avrà comunque cambiati; in qualche modo noi li abbiamo letti, quei libri, così, solo portandoceli dietro e immaginando di poter essere persone che quei libri li leggeranno.

Per lo stesso meccanismo compriamo molti libri che non leggeremo: perché il solo possederli ci dà l'idea di poterli un giorno leggere, ci apre a queste infinite possibilità di lettura. Che forse, in qualche modo, sono già una forma di lettura.

Forse allo stesso modo compriamo vestiti che non metteremo mai, e cibi che non mangeremo, elettrodomestici che non useremo e che invaderanno le nostre sempre più affollate cucine.
Forse comprare non è segno del tanto detestato e vituperato consumismo di massa.
È un gesto metafisico, è la filosofica tensione a superare gli angusti confini dell'essere uno, e provare a essere centomila.
O no? ..





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Pier Le Blanc

Apprezzo le tue riflessioni Paolon, tanto quelle del penultimo post, stese in forma verseggiante, quanto quelle del tuo ultimo post. In effetti, per come la vedi tu, comprare può essere un tentativo di essere altro da sé.  Le cose nuove, proprio perchè tali, sono forme di viaggio verso il  piacere di gustare una novità. Comprare dunque  è un po' come partire e quindi è un po' come viaggiare. 

Tu dici anche  che quel che non facciamo oggi lo faremo domani e quindi, in questo caso, il viaggio rimane nella nostra mente come potenzialità, prospettiva sufficiente,  di per sé, a renderci diversi. Ho capito bene?
Tuttavia c'è il fatto che compriamo abiti, libri e cose che poi accantoniamo dimenticandocene. Da una parte c'è dunque una spinta quasi metafisica, come la definisci tu, verso l'avventura della novità e del viaggio e dall'altra c'è  la rinuncia a realizzare quanto crediamo di volere. Infatti il viaggio è accantonato, la cosa nuova acquistata non è usufruita.

C'è però un altro viaggio promettente, secondo me, che consiste nel liberarsi di ciò che non si utilizza o anche liberarsi dall'idea che si debbano leggere a tutti i costi autori come Joyce e  Gadda, non proprio da portare in vacanza, direi.
E' già molto difficile, infatti, compiere il viaggio della lettura all'interno di un viaggio turistico o  culturale, figuriamoci quando affrontiamo classici come quelli da te citati.

Ti ricordo, a questo proposito, che la moglie di Joyce, rivolgendosi al marito, gli aveva rivolto questa domanda, domanda che è poi passata nel repertorio delle frasi celebri:
"Caro, ma perchè non scrivi libri che la gente possa leggere?"

Per concludere il viaggio che adesso mi interessa  è quello di riuscire a liberarmi di tutta la  zavorra che appesantisce il procedere.
(felice)
"Non c'è nulla come la fretta che faccia perdere tempo"
"Non rompere le scatole a chi è felice"

Paolon

Caro Pier
accolgo la tua riflessione....
ma chi scrive, come vedrai il alto, è Paola Mastracola.... (stupid)

La Tua è una osservazione che fai ANCHE a Lei  (nonso)
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Paolon

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Paolon

C'ERA UNA VOLTA
La via che non sapeva dove andare
di Alice Rohrwacher

(ripensando alla salita per Cereglio)

da IlSole24Ore - 04 dicembre 2016

Una strada che conoscevo capitò sulla terra e non sapeva dove andare.
Si mise a rotolare a casaccio e finì per sbattere contro un tronco.
«Wuuuschh», frullò l'albero drizzando le foglie, «che vuoi stradaccia?»
Quella gli spiegò che desiderava passare, ma l'albero si infuriò:
«non lo vedi che tengo radici?»
La strada si fece mogia, si ingobbì in una curva e girò intorno al bosco.

C'era più avanti una colonna di formiche e la strada ci si piazzò in mezzo. Quelle piccolette furono prese da una grande agitazione:
«aiiiiuto, povere noiii!» Piagnucolavano ai due lati opposti smarrite.
La strada pensò che in fondo lei era una sola a confondersi, e loro molte. Doveva aiutare il popolo!
Ritornò sui suoi passi, prese la rincorsa e con un doppio salto mortale le scavalcò in un ponte.

Poi le toccò una salita e si fece stretta stretta dalla fatica.
Ogni sasso che incontrava perdeva un pezzo, ormai non era che un viottolino di terra battuta quando si voltò a guardarsi: esile, sconnessa, eppure si sentiva talmente bella nella sua nuova forma, coi tornanti che decoravano la montagna come lo strascico di una sposa...

Ma dentro quel sentiero ci cascò un carretto che non riusciva a passare.
«Allargati strada!», urlò il carrettiere.
La strada non voleva creare problemi, s'allargò e il carro passò.

Non l'avesse mai fatto! Una volta che fu spianata una macchina la vide e ci si ficcò dentro,


e poi un'altra macchina,


poi sette macchine, poi cento e mille che le scorticavano la schiena,


un'autostrada!



«Portami di qua, rombavano feroci, anzi di là! Vai laggiù! Ora lassù! Presto, strada, corri più veloce!»
La strada era stremata.


Prese a scodinzolare in tante curve pericolosissime per scrollarsi di dosso quelle brutte macchine.



Tanto fece che venne maledetta e abbandonata tra ingiurie e sputi.


Diventò una cattiva strada e nessuno la imboccava più.


Finalmente rimasta sola, la poveretta avvistò una dolce altura da cui si rimirava un bel paesaggio.
«Ora mi fermo», pensò.
Si distese in uno spiazzo assolato e chiuse gli occhi.

Ma dopo poco la svegliò una vocina.
«Strada stradella mi sono perso dove vai tu?»
Era un bambino non più alto di un secchio.
«Ah, non me lo chiedere», rispose la strada, «io proprio non mi ricordo la mia direzione... tu dove vuoi andare?»


«Anche io non lo so, rispose il piccoletto, però forse ci possiamo accompagnare».
La strada ci pensò un poco.


«Non hai paura che io sia una cattiva strada?», chiese.
«No», disse il bambino, «le cattive strade sono sempre molto dritte».

E così tutti e due rotolarono via per la discesa giocando e correndo,
e io che a quel punto ero stanca
mi sono seduta sul margine, finché non li ho persi di vista

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Paolon

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Paolon

di Stefano Salis
LA MAPPA DICE SEMPRE LA (SUA) VERITÀ
ilSole24Ore, 22 gennaio 2017

Una mappa, ben lungi, dall'essere una fedele rappresentazione dell'esistente, non è mai neutrale.
È sempre un'interpretazione.
Il paradosso della cartografia, alla fine, è proprio questo:
una carta dice ciò che le si vuol far dire - e solo gli esperti possono
-capirla in fondo, o, meglio,
-vedere anche i talora subdoli trucchi che nasconde, e, di più,
-la realtà che essa "crea", spesso a dispetto di quella realtà fisica o naturale che dovrebbe certificare.

Esempi ce ne sarebbero molti: e l'uomo è sempre la mano e la mente che "manipola".
Ecco: quando si capita in una mostra come l'ottima
«La geografia serve a fare la guerra?»
alla Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso (fino al 19 febbraio), si fa una passeggiata che è piena di meraviglie cartacee ma soprattutto molto illuminante.
Si vede eccome che a curarla c'è un geografo come Massimo Rossi (autore anche del pregevole catalogo): e se anche l'allestimento, curato dai "cugini" di Fabrica, è potente e ben congegnato, è proprio la forza stessa della proposta e del famigerato "messaggio" che diventa centrate.
(IN MOSTRA  Un piccione utilizzato durante la Guerra (spesso l'unico modo di comunicare);



sotto una carta d'Italia con vista "rovesciata")





Nessuno come un geografo, infatti, è in grado di far capire agli spettatori la natura "finzionale" di una carta geografica: proprio perché chi ama la geografia sa quanto essa sia un prodotto eminentemente culturale e col quale ci si confronta, che se ne sia consapevoli o no.
Esempio: i nomi dei luoghi.
Nominare un luogo non è solo un modo per riconoscerlo; è un modo per farlo proprio.
Le mappe esplicitano nei toponimi dati oggettivi, sì, ma anche sociali: alterare una grafia, rinominare un luogo è un riordino, culturale, della realtà.

E se la tedesca Karfreit si muta nell'italiana Caporetto, per divenire la slovena Kobarid, ecco il caso fantastico dell'asburgica Sterzing, italianizzata Vipiteno (un posto peraltro mai esistito in quel territorio; Vipiteno era un nome romano di una zona finitima).

E, se siamo vicini a una guerra, a una tensione di confine, iniziamo a chiamare territori dando voce a "speranze territoriali magari prima inespresse:
"Alto Adige", "Venezia Tridentina", '"Venezia Giulia", ma anche, semplicemente, nel caso di un fiume, cambiandone il genere: la Piave, diventato poi il mormorante Piave sacro alla patria.

In sei sezioni, ciascuna da degustare con attenzione (è essenziale l'uso delle audioguide), dall'antichità a oggi, ma con una focalizzazione sugli anni della Grande Guerra (eccellente, per esempio, la carta della dislocazione delle colombaie mobili sul Piave e le soluzioni pensate dallo Stato Maggiore italiano per invitare le popolazioni dei territori occupati a fornire vitali informazioni ai volatili, addestrati a far ritorno nei loro luoghi di nascita), la mostra trevigiana è la dimostrazione che
la Storia è un prodotto della geografia e viceversa.
---------------
È una di quelle esposizioni nella quale gli assenti hanno torto: per la bellezza ma soprattutto per l'informazione che veicola. Un pregio in più, questo della Fondazione Benetton, che onorale parole "Studi e Ricerche", spesso trascurate e giudicate noiose.
Bisogna sapere come porgere le cose: e per far capire ogni tanto ci vuole anche uno sforzo.
Loro lo hanno fatto egregiamente, ora tocca a noi visitatori.

http://www.fbsr.it/beni-culturali/progetti-e-ricerche/la-geografia-serve-la-guerra/

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claudyane6


Paolon

2CV & BICI
UN ABBINAMENTO CHE MI HA SEMPRE AFASCINATO

Da sempre, con la mia Aermacchi HD, sono gli strumenti per le mie scorribande
Sul tetto o nel portabici attaccato al paraurti, ho cercato di portarmi la mia Grazziella  o la De Blasi pieghevole.

Ora, da pensionato, con un po' di tempo in più e forza in meno, gioco al rialzo: ho provato una Mountain Byke "servoassistita" che mi ha stimolato itinerari e avventure da tempo dismesse.



Con questa, già progetto di dilatare i giorni dei raduni in perlustrazioni, vagabondaggi, sterratini fino ad oggi scarsamente progettabili.

Di certo diventerà uno strumento quotidiano per raggiungere la città con la sua problematica di parcheggi e relativi onerosi costi.
Già mi affascina l'idea di intrufolarmi per vicoli, piazzette per raggiungere in tutta scioltezza la Biblioteca e il Centro.

Sto montando il gancio di Traino e vi chiedo se c'è qualcuno che ha già sperimentato i vari portabici che si agganciano a questo.



Ho comunque la sensazione di un ulteriore tappa del mio "Abitar Viaggiando"
Salutoni


(segue articolo interessante)



LO SCATTO DELLA CITTÀ CON LA BICICLETTA
13 novembre 2016
 
Al posto dei grandi magazzini ai margini delle città con immensi parcheggi auto, Ikea ha lanciato un paio d'anni fa il progetto pilota di un negozio urbano, ad Amburgo, proponendo un modello diverso di spesa:
-spazi limitati per le automobili,
-grandi rastrelliere per biciclette e la
-consegna dei mobili a domicilio fatta attraverso biciclette con carrello.
Quel modello è ora disponibile, con tanto di rimorchio, in tutti i negozi del colosso svedese diventando l'icona di un nuovo modo di mobilità urbana.
«Come mezzo di trasporto integrato, la bicicletta si trasforma in strumento che scardina i modelli culturali e comportamentali, rivoluzionando la concezione urbana»,
commenta Luca Tamini, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano.

Il suo gruppo di lavoro sta studiando modelli innovativi con più d'una città di provincia italiana, guardando a modelli come Barcelona, dove un'intera area prossima al centro cittadino, decuplicata a 700 ettari, è stata dedicata a pedoni e ciclisti, con il risultato di aver ridotto del 21% il traffico auto.

«Una mobilità fondata sulla ciclabilità – prosegue Tamini – diventa una leva per innalzare la qualità e l'attrattività urbana, diventando una potente arma di marketing territoriale».

La riscoperta delle due ruote passa quindi attraverso una rivoluzione della mobilità che non si limita alle città, ma che ha bisogno di un'evoluzione culturale che trasformi la bicicletta da oggetto ludico a vero e proprio mezzo di trasporto, da integrare in un sistema multimodale efficiente.

Un mezzo in grado di innescare un'economia valutata in Europa oltre i 200 miliardi di euro.
La London School of Economics ha stimato il "gross cycling product" inglese, stimando un valore attorno ai 2,9 miliardi di sterline. Con l'obiettivo di declinare una bikeconomy all'italiana i protagonisti delle due ruote si sono trovati a Roma, al Maxxi, il 18 e 19 novembre (www.bikeconomyforum.com).

«Il potenziale per l'Italia è enorme – afferma Beniamino Quintieri, presidente della Fondazione Manlio Masi, che ha organizzato l'evento -: siamo il secondo produttore europeo, esportatori netti di biciclette e accessori.
Oltre agli evidenti benefici in ambiente e salute, la bicicletta è un'opportunità per valorizzare il nostro paese dal punto di vista turistico, artistico ed enogastronomico».

Uno studio della Fondazione Manlio Masi, curato da Silvia Sopranzetti, mette insieme i vari tasselli della "bikeconomy". A partire dai vantaggi diretti:
-ogni milione aggiuntivo di euro di fatturato dell'industria ciclistica crea dieci nuovi posti di lavoro contro 2,5 nel settore automobilistico, mentre
-un milione di dollari di infrastrutture per biciclette genera 11,4 posti di lavoro (7,8 nelle strade). Tenendo conto che l'Italia è uno dei paesi europei con la domanda interna più bassa (il 60% degli italiani non usa mai la bici), è evidente il potenziale di crescita.

L'economia della bicicletta si traduce anche in risparmi, a partire da quello in
-spesa sanitaria connesso alla maggiore attività fisica e al miglioramento dell'aria: l'Organizzazione mondiale della sanità ha stimato questo risparmio in 110 miliardi di euro in Europa.
Consistente per l'Italia potrebbe essere la ricaduta in termini di
-miglioramento della mobilità urbana: la velocità media nei maggiori centri urbani italiani oscilla intorno ai 15 km/h calando a 7-8 nelle ore di punta, sui valori di fine '700.
Secondo Confcommercio la congestione stradale ha un costo economico e sociale che supera i 50 miliardi di euro l'anno. E che potrebbe evidentemente ridursi con un maggior ricorso alle due ruote, con l'
-effetto di ridurre anche le emissioni di CO2 e polveri sottili.

A incentivare l'utilizzo in città, anche su percorsi complessi, può contribuire un'innovazione come la pedalata assistita che da semplice nicchia si sta rilevando un più ricco segmento di mercato.

La politica pubblica – fatta di infrastrutture, piste ciclabili e intermodalità – è fondamentale.
Ma anche i privati prendono coscienza delle opportunità. Un progetto come il Grab, il Grande raccordo anulare per biciclette di Roma, una ciclovia da oltre 40 km che unisce l'Appia Antica al Quadraro e Torpignattara passando per il centro, sta catalizzando l'interesse di diversi attori che hanno aderito alla Grab Card fornendo sconti di vario genere e un'ampia offerta culturale.

Il Maxxi punta a fregiarsi come primo museo "bike friendly": la vicinanza con il Grab permette di proporsi come luogo di interscambio, tanto più grazie al parcheggio interrato in costruzione che avrà un punto di assistenza tecnica per ciclisti, mentre l'accordo con i noleggiatori di biciclette punta ad aumentare l'afflusso di visitatori stranieri, già oggi superiori a quelli italiani.

Uscendo dai confini urbani l'offerta coinvolge anche il cicloturismo, stimato oggi attorno a 1,6 miliardi di euro in Italia, con enormi margini di crescita sulla base dei paesi più virtuosi.
Ne è un esempio il Trentino che da tempo ha scommesso sul settore: la provincia di Trento ha 450 km di piste ciclabili con una ricaduta economica stimata in circa 400 milioni di euro. Compreso il maggior polo italiano di innovazione nella bici con sei startup a due ruote attive nel Polo Manifattura di Rovereto: «Abbiamo l'esperienza di diversi piccoli artigiani produttori di biciclette cui abbiamo unito le competenze tecnologiche di centri di ricerche di livello e incentivi fiscali», spiega Mauro Casotto, direttore di Trentino Sviluppo.
Qui è nato, per esempio, Free Duck2,

il disco meccatronico che trasforma una normale bici in pedalata assistita. Anche l'innovazione diventa un volano che moltiplica la bikeconomy.
PIERANGELO SOLDAVINI, Il Sole 24 Ore

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Citazione da: PaoloDòCavaj - 21 Febbraio 2017, 10:19:13 AM
2CV & BICI
UN ABBINAMENTO CHE MI HA SEMPRE AFASCINATO

Sto montando il gancio di Traino e vi chiedo se c'è qualcuno che ha già sperimentato i vari portabici che si agganciano a questo.




io lo uso da sempre
ho il gancio sulla Mondeo SW a cui attacco il portabici

sono molto sicuri, non fanno consumare carburante perchè eviti di portare le bici sul tetto
La felicità non è fare tutto ciò che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa.

Dany

 (felice)

Ciao Paolon,
per te vedrei bene questo



NB: la bici non stava sul fianco, ma tutto il supporto scorreva sulle barre e alla fine si posizionava in orizzontale sul tetto, fissata con delle cinghie.

Sometimes you're the windshield, sometimes you're the bug
(certe volte sei il parabrezza, certe volte sei il moscerino)
Mark Knopfler