Anche mio Papa' ....

Aperto da Aspes, 05 Settembre 2006, 12:23:44 PM

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Aspes

Due domeniche fa sono stato su dai miei genitori che hanno festeggiato i 50 anni di matrimonio. Mio papa' mi ha preso in disparte e mi cha chiesto : " Fammi un favore, trascrivimi questa cosa con il PC, perche' la macchina da scrivere si e' guastata ".

Io oggi l'ho fatto, pero' e' curioso scoprire come a noi piemontesi piaccia scrivere ( Io, mio Padre, Giuseppe, so che anche LucaJack lo fa ) .... ma non e' che non abbiamo niente altro da fare ?

Io ve lo faccio leggere, anche se le 2CV non ci sono, e nemmeno le Dyane, perche' pesca nella memoria molto piu' in la' nel tempo rispetto a quanto posso fare io ...

E poi a quel tempo le 2CV ancora dovevano nascere ....

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Gli inverni della nostra prima memoria cavalcavano neve e geloni.
Tutto cominciava ai primi di novembre con un piatto di castagne lessate messe sul tavolo per  " la notte dei morti ".
Poi, piano piano, con un crescendo di lane che spuntavano dai cassoni, arrivava l'inverno.
L'aria diventava pungente e rarefatta e, nelle notti limpidissime, le vecchie tettoie di latta lacrimavano candele di ghiaccio
simili a spezzate e disperse canne di un grande organo che vibravano al tocco argentato delle stelle.
Frammenti di Inverni perduti e mai dimenticati.
Sui vecchi coppi senza sole si abbarbicava lussureggiando il muschio ed era un dono per un presepe senza pretese dove la neve era bianca farina ed il laghetto uno specchio rotto.
Da mesi custodivo gelosamente gli involucri di stagnola che ricuperavamo dai pochi cioccolati mangiati.
La magia era poi riuscire a ricavare stelle da fissare sulla carta blu scuro  che aveva contenuto I lunghi spaghetti.
Cosi' era fabbricato quello che ora si chiama " fondale ".
Allora era un lavoro di forbici, di colla, do fortuna e ..... un po' di fantasia.
Le giornate si rincorrevano attorno al lungo tavolo della cucina dove il tepore aveva per madre la stufa e per padre il camino, dove il ceppo infuocato dipingeva un incanto di colori rosso-arancione che risvegliavano antichissime sopite scintille d'incendi mai conosciuti, di secoli mai vissuti, di paure mai superate.
Intanto, sui vetri delle finestre, invisibili ed umidi ragni d'inverno tessevano sottili, istoriati e bellissimi arabeschi di ghiaccio.
Il Natale era un sogno che si consumava nell'attesa tra il richiamo di una " novena " piena di  " Jerusalem " e " generavit " ed il canto liberatorio del  " Gloria in cielo " urlato, piu' che cantato, da incolte laringi di improvvisati cantori che avrebbero messo in fuga legioni di monaci salmodianti.
Laringi forse incatramate dal fumo delle troppe Osterie ma certamente ancora capaci di vibrare di gioia sulle note augurali del canto.
I Natali della nostra prima memoria non avevano aghi verdi di pino, ne' scintillio di luci, ne' palline colorate ne' sorprese di doni.
L'immaginiario dei regali attendeva il primo giorno del nuovo anno allorquando con un po' di caramelle, un assaggio di cioccolatini, qualche " savoiardo " ed un profumo di mandarino, il padrino e la madrina consumavano la loro annuale incombenza.
Gli inverni della nostra prima memoria cotonavano l'atmosfera di fantastiche nebbie, mai assorbite dalla vecchia carente illuminazione.
Erano nebbie che soffiavano fantasmi di amici che avvertivi, prima di vederli, dai passi sull'acciottolato e poi incrociavi infreddoliti ed altrettanto sorpresi.
In quegli inverni, lo scandire del tempo raccoglieva gli ultimi aneliti di quella che era stata la grande tradizione serale contadine : la tradizione dei tepori e degli umori animali delle stalle, del cicalio delle donne sferruzzanti, delle speranze degli uomini per progetti e raccolti al di la' da venire.
Su tutto cio' aleggiava ancora il ricordo dei vecchi narratori che recitavano, a memoria, le gesta di  " Guerino contro il Meschino " e dei  " Reali di Francia ".
Profumo di Medioevo che svaniva lasciando il posto a qualche volenterosa lettrice di lugubri storie generate dalla fervidia ed un po' controrta fantasia di Carolina Invernizio, una scrittrice rosa-horror dimenticata da mezzo secolo.
In anni piu' recenti anche quest'ultima appendice della tradizione contadina sarebbe scomparsa ancor prima della vacche e delle stalle soppiantati da rumoroso e fumiganti trattori.
Gli inverni della nostra prima memoria avevano anche riflessi sanguigni di coltelli affilati, di odori grevi di grassi, di spezie leggere e di sfrigolanti profumati ciccioli.
Si consumavano le antiche sagre famigliari con l'uccisione e la macellazione del maiale, ingrassato per mesi  e mesi, guardato a vista, curato ed infine ... macellato.
Ricca riserva per tutta la famiglia.
Feste ed unti banchetti che si rincorrevano tra inviti e scambi, dove il rosso vivo delle carni e del sangue si sposava con quello piu' scuro del vino.
Nelle lunghe ore in cui la notte sembrava scodellare una minestra di stelle nella ciotola del firmamento giovani amici " andavano per passeri ", con lunghe pertiche ed ampie reti. I vecchi casseri custodivano caldi e profondi pagliai dalle lunghe barbe che nascondevano tiepidi nidi di passeri pronti a diventare mortali trappole per gli incauti uccellini.
Il giorno dopo decine e decine di ali spezzate s'arruffavano incrociandosi nel cesto del pollivendolo.
I giovani amici si spartivano I soldi : " Mors tua vita mea ! ".
Gli inverni dei nostri primi ricordi luccicavano di candele accese per una decina di santi a martiri che si rincorrevano tra messe e vespri.
Su una tastiera vibrante di poche e ripetute note danzavano antichi nomi, leggendari ed irraggiungibili.
Su tuttio svettava San Gaudenzio: un santo " di citta' ", un vescovo assiso su una altissima cupola che distribuiva saporiti " marroni ", quasi sempre innevati.
San Gaudenzio era uno dei marcanti " d'la fioca ", forse il piu' autorevole.
Piu' gioiosi ed umani quel simpatico S.Antonio " dal purscel " e quel S.Silvestro che evocava succulenti e fantastici banchetti notturni che finivano all'alba in magnifiche e lontane citta' dove le luci non si spegnevano mai.
Da noi solo I passi di qualche nottanbulo raccoglievano grappoli di latrati di cani tra gli odori del fumo dei forni  ed il profumo invitante del primo pane sfornato.
Piu' tardi il carrozzone del carnevale ci avvisava che l'inverno era in declino.
Nei giorni di sole di meta' quaresima ti sorprendevi ad osservare manciate di fiorellini bianchi e azzurri che, sulle rive dei fossi, illuminavano con grazia gioiosa il verde brunito delle umide erbe.
Coriandoli di giovani vite che le tue dita, ormai non piu' gonfie e rosse dai geloni, accarezzavano.
Fioriva una nuova primavera e l'ultimo ricordo d'inverno si fossilizzava nell'archivio della memoria. 



Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nelle testa,
e il cuore di simboli pieno.

lucajack2cv

forte...

la prima volta che rivedi tuo padre, magari nell'incipiente inverno, portati dietro un registratore e porta il discorso sui racconti fantastici che si raccontavano la sera, qualcosa mi dice che queste vecchie storie di "masche" non mancavano in una casa dove si lasciavano sul tavolo le castagne destinate ai morti...

E poi trascrizione letterale, mi raccomando!

Comunque è vero che l'inverno "si sente" arrivare, persino in città ma soprattutto un paio di km fuori da essa... ti porta a mettere via tutto, il mehari sotto a un telone, le scocche nel fienile.. e stanotte abbiamo tirato fuori la coperta buona...

ciao lj

Oui nous sommes les barbariens de la route..
 Flying home to you..

Aspes

Ciao LJ, lo faro' anche se Lui  puo' solo scrivere, ma tu non puoi saperlo.

Circa 20 anni fa e' stato operato alla laringe per un tumore e da allora niente piu' voce.

Pero' sul mio cellulare, quando mi chiamano da case, la sua voce ancora c'e', come suoneria, mentre racconta in dialetto piemontese una storia molto bella scritta da un mio amico per una manifestazione che avevamo fatto nel mio paese .....

Ciao ...



[allegato eliminato dall\'amministratore]
Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nelle testa,
e il cuore di simboli pieno.