Era il 1998, mi pare fosse maggio.
Sul mio 2CV, comprato usato 3 anni prima, avanzavo penosamente incolonnato nel traffico di Roma. Ad un tratto vengo tamponato di “punta”, e cioè esattamente sullo spigolo posteriore sinistro.
La mia Citroen ne esce con un fanalino rotto, il paraurti piegato verso il basso ed una
lieve crepatura sulla vernice sotto il porta targa.
Incredulo vedo che invece la Volvo 940 familiare bianca che mi ha tamponato ne esce con il faro anteriore da buttare, il paraurti sganciato e adagiato a terra, il cofano leggermente piegato verso l’alto, la mascherina rotta e la punta del parafango ammaccato.
Entrambi taciturni, evidentemente ognuno per propri e disparati motivi, compiliamo il CID. Ci salutiamo cordialmente, non senza però una vaga nota di una inespressa voglia di capire come una lumaca di latta abbia fatto così male ad un blocco di ghisa svedese.
Poi gli impegni di entrambi rimettono ognuno sulla propria strada.
Passa un po’ di tempo.
Conoscevo un carrozziere dal quale 10 anni prima papà mi aveva comprato la mia prima macchina. Lo chiamai.
L’accordo era che, dopo l’estate, avrei dato una
sistematina alla
lieve crepatura appoggiandomi nella sua officina.
L’estate passa. In officina, un bel giorno, con un raschietto inizio a giocherellare distrattamente sulla famosa
lieve crepatura della vernice sotto il portatarga. Il raschietto fa saltare le vernice, poi un po’ di stucco, poi uno stucco di colore leggermente diverso ed ancora stucco.
Nel giro di sette o otto minuti, la lieve crepatura della vernice si rivela essere una sorta di mostruosa faglia. Una faglia che stava portando alla deriva due continenti abnormi di stucco, sapientemente impastato con una Gazzetta dello Sport della quale peraltro il mio amico ed io riuscimmo a leggere perfettamente anche la data, ma che al momento ho dimenticato.
Alla luce di questa singolare e bizzarra novità, iniziammo a esaminare tutta la macchina che si rivelò all’altezza del porta targa: un enorme confettone bianco, levigato e splendente che era stato ricavato scolpendo un enorme blocco di stucco al cui interno però si celava qualche lamiera rugginosa, dei sedili ed un motore.
Passato il momento di muta incredulità mia e di saggia, pacata e rassegnata tranquillità del mio amico carrozziere, espressa da un mesto e consapevole accenno di sorriso, avvenne che la settimana di lavoro preventivata prima della scoperta geologica si trasformò in una gestazione di 9 mesi in cui mi restaurai il mio 2CV.
A questo punto chi ha fretta può saltare il seguente, toccante, intimo e introspettivo momento Amarcord.
L’officina si trovava a circa 40 km fuori Roma. Per arrivarci passavo per immensi boschi di castagni. Io adoro l’inverno e quella strada era il modo migliore per rendergli omaggio e per godere degli acquerelli e dei quadri ad olio che questa stagione è in grado di mostrarti, incorniciandoli nei vetri dell’altra macchina con la quale quotidianamente andavo a lavorare in officina.
I rami spogli di un marrone indescrivibile si stagliavano a volte sul cielo azzurro di tramontana, altre volte invece li intravedevo tra banchi lenti di nebbia fitta e silenziosa; altre volte li vedevo innevati ed altri ancora con le stalattiti di ghiaccio. D’estate poi, passare per quei boschi frondosi alleviava la calura insopportabile con la quale Roma ti allieta.
Sono passati 22 anni. Poco prima di questo Coronavirus mi sono ritrovato a fare quella stessa strada che passa tra quegli immensi boschi di castagni. L’officina è sempre lì. Ed è stato davvero un tuffo nel passato.
Siamo un po’ tutti animati da istinto “fai da te” ma ognuno lo vive in modo diverso; per questo mi è’ difficile descrivervi il ricordo del sottile gusto e della soddisfazione di smontare pezzo pezzo la tua macchina, delle mani sporche anche dopo averle lavate, dei cordoli incandescenti delle saldature, dei metri quadri di lattonature, di stuccature, di carteggiature e di verniciature.
Il mio restauro, non solo quello di una macchina, ha preso forma li. Ed è stato scandito dal susseguirsi degli alberi di castagno, delle settimane in cui il clima lentamente cambiava; ogni giorno lo passavo dalla mattina alla sera facendo una cosa che mi è sempre piaciuta fin da bambino. In quel periodo ero in aspettativa; uscivo da un pauroso incidente avuto in moto e, poco prima, da una storia la cui fine mi aveva ridotto peggio dell’incidente.
Va da se che quella officina, in quel momento, era un angolino di solitario, meditativo ed a volte malinconico paradiso.
Fine del momento Amarcord. Dài su, sono stato breve.
Con il Coranvirus che spadroneggia, la necessità di dover stare a stare a casa ha fatto si che, una volta riparati i rubinetti che perdevano, sistemata la serratura della porta, riparato il tavolo di cucina, spolverato il sopra degli armadi, dato la cera (2 volte) al parquet, lavato i vetri delle finestre, pulito gli infissi, sistemata la lavatrice a incasso che in centrifuga faceva decollare le suppellettili (e ometto la riparazione alla cerniera sinistra della lavastoviglie, restauro dell’armadio antico più altre sciocchezzuole), una sera mi capita per le mani un album di foto di fine anni 90.
Sono sempre stato un tipo timido e introverso ma l’idea di condividere un lavoro nato da un piccolo incidente e che alla fine si è trasformato in un restauro completo, un po’ mi piaceva.
Tenete conto che nei nineties i siti di pezzi online fioccavano e ti venivano addirittura a cercare a casa

e quindi la ricerca era facilissima e a zero stress: o i pezzi li reperivo da mamma Citroen oppure i pezzi li reperivo da mamma Citroen. Ovviamente a prezzi di realizzo

Ma veniamo al dunque; sotto la zona porta targa potete notare la voragine lasciata dalla Gazzatta dello Sport una volta rimossa:

Durante l’operazione di Gazzectomia, la zona del faro sinistro si è sbriciolata meglio di una fetta biscottata:

Da qui non si vede (a parte che le foto sembrano ancora più d’epoca di quanto non siano), ma la tipica zona di corrosione era stata mirabilmente “riparata” con una lamiera di un materiale innovativo e quasi insensibile alla corrosione: un bel rettangolone di alluminio finemente rivettato che fungeva da base per un crostone di conglomerato bituminoso che forniva un determinante contributo alla resistenza strutturale:

Neanche da qui si nota un gran che, ma ricordo ancora la friabile croccantezza degli strati geologici di nonsocchèccosa fosse stato colato sulla piattaforma:

Un altro esclusivo punto di vista:

Purtroppo, come nelle migliori tradizioni di archeologia etrusca o egizia, accade che sia i reperti che le documentazioni fotografiche vengano misteriosamente smarriti. Quindi infrangendo il continuum spazio-temporale… Voilà! Il telaio finito.
Sfoderato, ripulito, passivizzato con vari zincanti a freddo e primer epossidici, è stato riprisitinato senza rinforzi aggiuntivi, senza invenzioni ma rifacendo fedelmente tutti i pezzi che mamma Citroen ci mise all’epoca.
Insomma, un telaio bio:

In primo piano la mia tuta da lavoro e un paio di guanti gialli. Sulla destra, in secondo piano, il parafango anteriore destro. Sulle “cavalle” (per i non romafoni: cavalletti) altra fulgida panoramica del telaio bio. Foto da un mio amico intitolata “la Due Cavalle” in virtù degli appoggi. Un genio.

Qui di seguito invece è mirabilmente rappresentato il più madornale errore compiuto il secolo scorso: la sabbiatura.
Sconsiglio vivamente a chiunque voglia fare un restauro completo di eseguire la sabbiatura di ciò che rimane della cabina. Tale barbarica prassi è in grado di donare dolori sbalorditivi in fase di preparazione della carrozzeria: sotto il getto della sabbia la lamiera si deforma e, specialmente per le superfici piane, questo trattamento è l’unico che può fornire la garanzia della necessità di sostituire tutti e 4 gli sportelli. Io all’epoca non lo feci. E il risultato ancora oggi mi fa girare gli zebedei (vedi anche alla voce: “carteggiatura”)

La sabbiatura, inoltre, obbliga a dover soffiare, aspirare, risoffiare e riaspirare ogni singolo pertugio, scatolato, anfratto o tubolare poiché ogni singolo residuo di sabbia ha la meravigliosa certezza di far generare una ruggine mostruosa nell’arco di picosecondi.
Ecco il mirabile e madornale errore coperto con un fondo epossidico bicomponente cotto a 60 gradi; parafiamma e fondi già posizionati e appuntati; sul carrello ci sono 3 delle 900 bombolette di zincante a freddo impiegate:

Fondi e parafiamma, profumati ancora di
eau de Paris (magari era Portogallo o chissà dove); all’epoca il riferimento, come detto, era ancora mamma Citroen:

Abbiate pazienza, all’epoca andava di moda la pellicola 400.000 ASA abbinata a 1/1000.000 di secondo di esposizione, tutto ciò (con l’ausilio del flash) dona quella leggera granulosità nella tessitura delle foto, associata inoltre ad un nero profondo e nitidezza dei dettagli:

Già all’epoca ero un nostalgico dei ’70; la pellicola e i tempi di esposizione di cui sopra, assieme al taglio di capelli eseguito con la smerigliatrice, contribuiscono a fornire antichità al quadretto:

Per chi si fosse distratto o dimenticato, i fondi, la parafiamma, i 4 parafanghi, lo scatolato posteriore portafari e i fianchetti sono tutti rigorosamente Citroen. E non lo voglio ripetere più. La gamba che si intravede è la mia; mi pare di rammentare di aver passato 21 giorni con martellino e saponetta su ciascuno dei trapezi laterali delle cerniere anteriori perché il madornale errore del secolo scorso (la sabbiatura, vedi più sopra) colpì inesorabilmente anche qui:

Sulla destra altre 4 delle 900 bombolette di zincante a freddo impiegate per questo progetto:

Qui invece stiamo effettuando una tempra di indurimento della scocca consistente in una passata in altoforno (vedasi le fiamme della bocca di ingresso) con un successivo e immediato bagno in una vasca di azoto liquido. La foto della vasca al momento non la trovo. Accontentatevi dell’alto forno:

Dopo l’azoto liquido, una generosa mano di antisasso catalitico:

Ed ecco finalmente la parte più bella, creativa, rilassante e ricca di soddisfazioni: la preparazione degli sportelli e del bauletto posteriore resi lisci, regolari e dritti come una Sbrisolona Mantovana dal più madornale errore del secolo scorso: la sabbiatura (vedi più sopra):

A nulla è valsa una betoniera di stucco poliestere riempitivo più volte data e più volte ricarteggiata con 880 metri quadri di carta vetrata (peraltro montata su lime velcrate di mezzo metro); gli sportelli e il bauletto posteriore sono molto vendicativi e dopo il più madornale errore del secolo scorso (la sabbiatura) non perdonano. Mai.

Si inizia a vedere qualcosa. Il colore originale, confermato dal ritrovamento della placchetta circolare, è AC331 (Jaune Cedràt) ma i 22 anni di invecchiamento delle stampe fotografiche lo hanno fatto virare sul Mimosa:

Primi montaggi; sullo scaffale 4 cerchioni fiammanti; più in alto 2 dei 98 scatoloni di pezzi e sulla destra le mie Asics da officina.

Qui invece iniziavo i miei esperimenti di montaggio dei motori BMW sulle 2CV, volevo adattarne anche il cofano ma poi preferii l’originalità e quindi passai l’dea a Sparrow, che ci ha lucrato sopra dimenticandosi degli amici. Pazienza.

Ricordo che tra gli ottanta curiosi/ora che bazzicavano l’officina, un bel giorno capitò un distinto signore con un 2CV azzurro (a sx nella foto qui in basso).
- Anche io voglio un restauro così!
- No guardi, non è un lavoro mio, l’auto è di questo ragazzo a cui sto prestando spazio e ferri, il restauro lo sta facendo da sè
- Ma no…
- Ma si, glielo assicuro
- E se decidessi comunque di fare il lavoro, quanto mi verrebbe a costare?
- Guardi non lo faccio…
- Insisto!
A questo punto il mio amico, pur di levarsi l’impiccio, sparò una cifra vergognosa, da qualcuno ritenuta offensiva. Tutt’ora pare riecheggi tra i vicini boschi.

Manca qualche dettaglio e qualche rifinitura:

E la richiesta vergognosa, a tratti offensiva, fatta al distinto signore?
(non guardate il soggetto principale, guardate più a destra, ecco, si; visto?)

La risposta del distinto signore, semplicemente fu:
- Perfetto; domani mi faccio accompagnare da mia moglie e lascio qui l’auto.
Fu così che finita la mia macchina, vista l’esperienza maturata e in virtù del fatto che ero stato la causa (involontaria) di questo lavoro non proprio voluto, ho partecipato al restauro pure di quella azzurra.
Chissà dove sarà ora…
La morale di tutto ciò? Innanzitutto quando fate un lavoro, un qualunque lavoro sulla vostra macchina, fate delle belle foto.
I ricordi sono vividi ma a guardare queste foto pare siano passati 100 anni.
Per compensare metto un’ultima foto, credo ben fatta.
Ovviamente gli sportelli non sono stati ripresi. Sono stati vittime del più madornale errore del secolo scorso: la sabbiatura.
