'e adesso che siamo a milano, lo vogliamo andare a vedere questo famoso colosseo'?, domandava il primogenito dei fratelli capone.
'e adesso che ci stiamo proprio inciampando sopra, ne vogliamo parlare di questo benedetto solstizio d'inverno'?, domando io.
da che sto al mondo, di questi tempi, quando tiro via le coperte e sorto dalla cuccia mi si aggriccia tutto l'aggricciabile, specialmente il borsellino del patrimonio, patrimonio genetico intendo.
non stamattina. mi sono svegliato con il collo sudato, come avessi davanti un foglio protocollo e dovessi calcolare il coseno di una qualche enigmatica entità.
prima ancora di caricare la moka vado a controllare il termometro esterno, 18°, leggasi diciotto di temperatura, alle 5:30 del mattino, a uno sputo dal natale di nostro signore, non è una lettura che ricordi di aver mai verificato negli anni passati, e ne ho macinati parecchi.
viene voglia di calzare le ciavatte e, recuperata canna corta e pesciolino di gomma cinese fosforescente, scendere a mare per vedere cosa viene fuori da quell'acqua gelida.
suppongo abbiate qualche infarinata di metereologia, aria fredda su suolo caldo significa pioggia, viceversa aria calda su suolo freddo significa
ghelanebia, giusto come dicevano i fratelli capone.
ci sarebbe davvero nebbia o foschia se non fosse per la brezza del mattino.
il sole d'inverno si comporta come un treno in galleria, prima ancora di sentirlo sferragliare vieni investito da un fiato potente che odora di muffa e trementina.
quello è il momento buono per scendere dai binari e mettersi di lato.