Hai
soldi?» mi chiese.
«Diavolo, no, forse abbastanza per un mezzo litro di whisky finché arrivo a Denver. E tu ce n'hai?»
«So dove posso prenderli.» «Dove?»
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«Dovunque. Si può sempre seguire un uomo in un viale, no?» «Già, credo di sí.»
«Non mi faccio certo scrupolo di questo quando ho davvero bisogno di qualche scudo. …
Fui contento quando i due giovani agricoltori del Minnesota padroni dell'autotreno decisero di fermarsi a North Platte per mangiare; volevo osservarli bene.
Essi uscirono dalla cabina e sorrisero a tutti noi.
«Sosta per la
pisciata!» disse uno.
«Ora di mangiare!» disse l'altro.
Ma erano gli unici della comitiva che avessero denaro per comprar da mangiare.
Noi arrancammo tutti dietro a loro in un ristorante gestito da un mucchio di donne, e ci sedemmo davanti a delle polpette e del caffè mentre loro facevano sparire dei piatti enormi proprio come se si trovassero nella cucina della madre loro.
Erano fratelli; stavano trasportando macchinari agricoli da Los Angeles al Minnesota, guadagnandoci parecchio denaro. Cosí nel viaggio di ritorno a vuoto verso la Costa prendevano su tutti quelli che incontravano per strada.
L'avevano fatto ormai cinque volte; si stavano divertendo un mondo.
Erano
entusiasti di tutto.
Non smisero mai di sorridere.
Cercai di parlare con loro - una specie di maldestra manovra, da parte mia, per farmi amici i padroni del vapore - e le uniche risposte che ne ebbi furono due smaglianti sorrisi e grandi denti bianchi usi a mangiar granoturco.
… io afferrai l'occasione di andare a comprare una bottiglia di
whisky per tenermi caldo nella fredda aria smossa della notte. Loro sorrisero quando glielo dissi. «Vada pure, faccia presto.»
«Potrete prenderne qualche sorso anche voi» li rassicurai. «Oh, no, noi non beviamo mai, vada pure.»
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… Uomini alti, arcigni, ci guardavano passare da edifici con le facciate posticce; sul corso si allineavano case quadrate come scatole. Dietro ogni strada malinconica c'erano immense visuali delle pianure.
Sentii che nell'aria di North Platte c'era
qualcosa di diverso, ma non sapevo che cosa fosse. In cinque minuti lo capii. Tornammo alla macchina e partimmo in un rombo.
Presto si fece buio. Bevemmo tutti un sorso e d'un tratto guardai, e i poderi verdeggianti del Piatte cominciarono a sparire e al loro posto, cosí lontano da non poterne vedere la fine, apparvero lunghe piatte distese di sabbia e di salvia. Ne fui sbalordito.
«Che diavolo è questo?» gridai allo Smilzo.
«Questo è il principio degli
spazi aperti, ragazzo. ...

I camionisti davanti si erano cambiati di posto; il fratello subentrato alla guida lanciava l'autotreno a tutta birra. Anche la strada cambiò: rialzata nel centro, con i margini spioventi e a entrambi i lati un fossato profondo piú di un metro, cosí che l'autocarro rimbalzava e traballava da un lato all'altro della strada -per fortuna solo quando non sopraggiungevano altre macchine dalla parte opposta - e io pensai che avremmo fatto tutti un salto mortale.
Ma quelli erano
guidatori formidabili. Come si lasciò indietro, quell'autotreno, il saliente del Nebraska: … praticamente in vista di Denver che era a poche centinaia di chilometri verso sud-ovest. Urlai dalla gioia. Ci passammo la bottiglia. Spuntarono le grandi stelle scintillanti, le colline di sabbia indietreggianti nella lontananza si fecero indistinte. Mi sentii come una freccia capace di saettare fino in fondo alla meta.

E ad un tratto Gene del Mississippi si volse verso di me uscendo dalla sua paziente fantasticheria a gambe incrociate, e apri la bocca, e mi si accostò, e disse: «Queste pianure mi fanno venire in mente il Texas».
«È del Texas, lei?»
«Nossignore, sono di Green-veli, del Mozz-sippi.» E fu proprio cosí che disse.
«Quel ragazzo di dov'è?»
«S'è messo in
certi pasticci laggiú nel Mississippi, cosí mi sono offerto di aiutarlo a tirarsene fuori. Quel ragazzo non è mai andato in giro da solo. lo mi occupo di lui meglio che posso, è solo un bambino.» Quantunque Gene fosse un bianco c'era in lui un po' della saggezza e della stanchezza dei vecchi negri, e qualcosa che assomigliava assai a Elmer Hassel, il tossicomane di New York, ma un Hassel viaggiatore, un
epico Hassel
girovago, che passava e
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ripassava ogni anno attraverso il continente, a sud nell'inverno e a nord nell'estate, e solo perché non c'era posto dov'egli potesse restare senza stancarsene, e perché non aveva un luogo dove andare ma doveva andare in tutti i luoghi, continuando a vagare sotto le stelle, generalmente quelle del West.
…
Nei miei piú giovani anni ero stato in mare con un amico alto e angoloso della Louisiana, detto Hazard lo Spilungone, William Holmes Hazard, che era
vagabondo per vocazione. Da piccolo aveva visto un vagabondo andare da sua madre e chiederle un pezzo di torta, e lei glielo aveva dato, e quando il vagabondo s'era allontanato giú per la strada il bambino aveva detto:
"Ma', che fa quell'uomo?".
-"Come, è un vagabondo."
"Ma', anch'io voglio diventare vagabondo un giorno."
-"Chiudi il becco, non è cosa che si confà agli Hazard."
Ma lui non dimenticò mai quel giorno, e quando crebbe, dopo un breve periodo trascorso giocando a calcio all'Università Statale della Louisiana, diventò davvero un vagabondo.
…presi un altro sorso, e adesso cominciavo a sentirmi abbastanza bene.
Ogni sorsata veniva spazzata via dal vento in corsa dell'autotreno aperto, liberata dai suoi cattivi effetti, mentre quelli buoni mi sprofondavano nello stomaco. «Cheyenne, sto arrivando!» cantai. «Denver, preparati ad accogliere il tuo ragazzo.»
Lo Smilzo del Montana si voltò verso di me, indicò
le mie scarpe, e commentò: «Vuoi scommettere che se pianti in terra quegli affari lí, ne cresce qualcosa?» - naturalmente senza accennare a un sorriso e gli altri ragazzi lo sentirono e risero.
Ed erano infatti le piú ridicole scarpe d'America; me l'ero portate dietro proprio perché non volevo che i piedi mi sudassero sulla strada rovente e, tranne che per la pioggia sul Bear Mountain, diedero prova di essere le migliori scarpe possibili per il mio viaggio. Cosí risi con loro.
E adesso le scarpe erano parecchio malandate con brandelli di cuoio che spuntavano fuori come pezzi di ananas fresco e gli alluci che facevano capolino. Be', mandammo giú un altro goccio e ridemmo.
Filavamo come in sogno attraverso piccoli paesi posti sui crocevia balzanti dall'oscurità, e sorpassavamo lunghe file di braccianti e di cow-boy che oziavano nella notte. Quelli ci guardavano passare per seguirci con lo sguardo, e li vedevamo picchiarsi le cosce nel buio che tornava a invadere l'altra parte del paese: eravamo una compagnia buffa a vedersi.
C'era una quantità di uomini in quella regione in quel periodo dell'anno; era
il tempo del raccolto. I ragazzi del Dakota erano irrequieti. «Mi sa che appena ci fermiamo per pissare scendiamo; pare che qua attorno ci sia un sacco di lavoro.»
«Non dovete fare altro che spostarvi piú a Nord quando qui è finito» consigliò lo Smilzo del Montana «e seguire i raccolti finché non arrivate in Canada.» I ragazzi annuirono distrattamente; non prendevano gran che sul serio i suoi consigli.
Nel frattempo il giovane fuggitivo biondo sedeva sempre allo stesso modo; di quando in quando Gene usciva dalla sua buddistica contemplazione per chinarsi a guardare le scorrenti piane buie e diceva con tenerezza qualcosa all'orecchio del ragazzo. Questi annuiva. Gene si interessava di lui, del suo umore e delle sue
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paure. Io mi chiedevo dove diavolo sarebbero andati e che cosa avrebbero fatto.
Non avevano sigarette. Finii per distribuire loro tutto il mio pacchetto, tanto mi piacevano. Erano grati e simpatici. Non chiedevano mai, e io continuavo a offrire.
Lo Smilzo del Montana aveva il suo pacchetto ma non lo passava mai.
Filammo attraverso un altro paese su un crocevia, superammo un'altra fila di uomini alti e dinoccolati in pantaloni di tela blu, raccolti nella debole luce come falene nel deserto, e di nuovo rientrammo nel buio terribile, e le stelle sopra di noi erano pure e luminose a causa dell'aria che si faceva sempre piú sottile man mano che salivamo su per il fianco in rilievo dell'altopiano occidentale, in ragione di circa venti centimetri il chilometro, cosí dicono, e non un albero che nascondesse le stelle basse in alcun punto dell'orizzonte.
E una volta, mentre passavamo di volata, vidi una malinconica mucca dal muso bianco nella salvia accanto alla strada.
Era come viaggiare su un treno, altrettanto sicuro e altrettanto diretto.
Dopo un po' arrivammo in un paese, rallentammo, e lo Smilzo del Montana disse:
«Ah, ora di
pissare», ma quelli del Minnesota non si fermarono e attraversarono l'abitato direttamente.
«Diavolo, devo scendere» disse lo Smilzo.
«Falla fuori da un lato» suggerí qualcuno.
«Be', farò cosí» disse lui, e lentamente, mentre stavamo tutti a guardare, si trascinò sul sedere, centimetro per centimetro, fino al di dietro della piattaforma, tenendosi meglio che poteva, finché le gambe non gli penzolarono in fuori.

Qualcuno bussò al finestrino della cabina per richiamare l'attenzione dei due fratelli, i quali si voltarono, sfoggiando i loro larghi sorrisi. E proprio mentre lo Smilzo si accingeva ad eseguire, già instabile com'era, quelli cominciarono a zigzagare con l'autotreno a centodieci l'ora. Lui cadde all'indietro per un momento; vedemmo
nell'aria uno zampillo come quello di una balena; lui si sforzò di rimettersi seduto. Quelli fecero sbandare l'autotreno. Bam! lui cadde giú su un fianco,
orinandosi addosso. Potevamo sentirlo imprecare debolmente in mezzo al fracasso, come il lamento di un uomo lontano oltre le colline. «Maledizione... maledizione...» Non si accorse affatto che questo glielo facevamo apposta; stava semplicemente lottando, tenace come Giobbe.
Quando ebbe finito, come Dio volle, era zuppo da strizzare, e ora gli toccò tornare piano piano al suo posto, tenendosi in equilibrio, con uno sguardo tutto vergognoso, mentre tutti, fuorché il triste ragazzo biondo, ridevano, e i due del Minnesota si sganasciavano nella cabina.
Io gli porsi la bottiglia perché si consolasse.
…Arrivammo all'improvviso nella città di Ogallala, e qua i due
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della cabina gridarono: «Sosta per la pisciata!» e con enorme soddisfazione. Lo Smilzo rimase imbronciato accanto all'autotreno, rimpiangendo l'occasione perduta. I due ragazzi del Dakota salutarono tutti poiché contavano di cominciare a fare i braccianti in quel posto. Li guardammo scomparire nella notte verso le baracche alla periferia della città dove le luci erano accese, e dove un guardiano notturno in blue-jeans disse che avrebbero trovato gli uomini addetti alle assunzioni.
Dovevo comprare altre sigarette. Gene e il ragazzo biondo mi seguirono per sgranchire le gambe.
Entrai nel luogo piú inverosimile del mondo, una specie di solitario bar analcoolico delle praterie per i minorenni e le minorenni locali. Alcuni di loro stavano ballando alla musica di un giradischi a gettoni.
Ci fu un'interruzione quando entrammo. Gene e il biondino se ne stettero lí, senza guardare nessuno; tutto quel che volevano era le sigarette. C'erano anche alcune graziose ragazze. E una di esse lanciò certe occhiate al biondino, ma lui non la vide nemmeno, e anche se l'avesse vista non gliene sarebbe importato niente, tanto era triste e sperduto.
Comprai un pacchetto per ciascuno di loro; mi ringraziarono.
L'autotreno era pronto a partire. Si stava avvicinando ormai la mezzanotte, e faceva
freddo.
Gene, che aveva girato per il continente piú volte di quel che potesse contare sulle dita delle mani e su quelle dei piedi, disse che ora la miglior cosa da fare per tutti noi era di rannicchiarci vicini sotto il grosso telone catramato se non volevamo rimanere assiderati. In questo modo, e con il resto della bottiglia, ci tenemmo caldi mentre l'aria si faceva gelata e ci pizzicava le orecchie.
Pareva che le
stelle diventassero piú luminose man mano che salivamo su per gli altipiani. Eravamo nel Wyoming, adesso. Steso sulla schiena, rimiravo là sopra il magnifico firmamento, compiacendomi della velocità con cui viaggiavo, di quanto lontano ero giunto, alla fine, dal triste Bear Mountain, e tutto elettrizzato al pensiero di quel che mi aspettava a Denver: qualsiasi, qualsiasi cosa fosse.
E Gene del Mississippi cominciò a cantare
una canzone. La cantò con voce melodiosa, tranquilla, con un accento del Mississippi, ed era semplice, solo cosí:
"La mia ragazza ha solo sedici anni - è dolce e piccolina - per quanto tu t'affanni - non puoi trovarne una piú carina", ripetendolo insieme ad altre strofe messe a caso, tutte che dicevano quanto egli fosse andato lontano e come desiderasse tornare da colei che purtroppo aveva perduta.
Io dissi: «Gene, non ho mai sentito una canzone piú bella».
«È la piú dolce che conosca» rispose lui con un sorriso. «Spero che lei arrivi dove sta andando, e che sia felice quando arriverà.»
«
Io me la cavo sempre e tiro avanti in un modo o nell'altro.» …
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