è arrivata alfonsina!

Aperto da ax, 05 Giugno 2010, 18:24:17 PM

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ax

and the WINNER isssssss...........

ALFONSINA, auto più "simpatica" del raduno di Campolattaro  (appl)  (muoio)

il premio:


una spettacolare forma di formaggio del Sannio  (superok)

ora gli adesivi acquatici non li tolgo più, fino al previsto - non a breve - restauro.

grazie mario&gianmaria  (felice)

Anita

 :D Ho la foto del vincitore con il premio, a breve posterò(farò postare ;D)!!! (felice) (guid)
YuppiYuppiYuppiIeaaaaaa!!! :DDD

ax

nuovo arrivo per supportare le prossime spese di alfonsina:


la foto non è granchè, ma mi hanno regalato un piccolo salvadanaio... di una simpaticissima vetturetta... che per la verità, all'inizio era del modello charleston  (sorpreso) a me???  ;D... per cui colore e pennello alla mano... adesso combacia meglio con alfonsina!
lo so, mancano le onde e frutti del mare... ma diciamo che rispecchia alfonsina post restauro, quando ci sarà (superok)

devo ammettere che non sono mai riuscito manco in infanzia a riempirne uno!!!!!! (nonso)
(stupid)
ma la lista della spesa dal catalogo cassis già è pronta...  (muoio)

Pacifico

Un salvadanaio per funzionare dovrebbe essere sigillato, da rompere nel momento del bisogno.
In questo caso però sarebbe un peccato.
Comunque un bel accessorio per un inzio del restauro, probabilmente più indispensabile del saldatore  ;D

Non camminare dietro a me, potrei non condurti.
Non camminarmi davanti, potrei non seguirti.
Cammina soltanto accanto a me e sii mio amico. Albert Camus

ax

#64
finalmente mi è arrivato il numero della LdL - estate2010    (appl)
è stato pubblicato il racconto che la mia amica Akiko ha scritto per me, per la mia ricerca della 2cv...



sono passati un pò di anni da questa storia, ma ho voluta proporla per la pubblicazione ora che sono tornato possessore di una nuova 2cv, che molto in comune ha con l'altra.

avevo già deciso di pubblicare il testo anche sul forum, per chi non riceve la rivista del club!
il testo non è affatto breve... qui posso anche aggiungere delle foto che non sono "entrate" nella stampa.

Un thè prima dell'estate

La luce dell’alba filtrava dai buchi delle tapparelle abbassate. Entrava nella stanza, toccava i pochi oggetti, bagnava tiepidamente i vestiti ammucchiati per terra, i jeans stravecchi, la felpa fucsia che i suoi amici detestavano. Andrea non riusciva a tenere gli occhi aperti, anche quella luce sottile lo feriva arrivandogli ad una velocità supersonica al cervello e facendoglielo esplodere.
cacchio, si era ancora vomitato addosso nel sonno. Succedeva sempre più spesso ultimamente. La notte prima si era ubriacato, roba pesante, e poi, solo, era tornato a casa, senza pensare. Aveva salito le scale fino ad arrivare al terzo piano di quel palazzetto barocco al centro di Roma smadonnando per l’ascensore fuori uso. Quanto era passato tra quelle scale e quell’alba? Se fosse stato per lui potevano essere passati anche mesi, o giorni, invece solo poche ore.
Testa pesante, un rumore martellante dentro, prese un’aspirina ed andò in bagno per farsi una doccia ed andare al lavoro…già, il lavoro, tutto quello che aveva, tutto quello che poteva ricordare, tutto quello per cui viveva.
Tra due settimane avrebbe compiuto trentanni e non riusciva a capire come si sentiva.
Aveva sempre pensato di conoscersi bene, a fondo, ma adesso quel dolore dentro come una lastra di ghiaccio che si rompe sotto i pattini, le schegge volano lontano. Il peso l’ha spaccata, ma cosa ha esattamente spaccato? Cosa non andava dentro la sua testa, cosa lo faceva bere per addormentarsi in fretta senza sogni, senza pensare? No, non era un alcolista, era un giovane architetto di quasi trentanni, un architetto silenzioso, introverso, questo sì, ma non un alcolista.
LÂ’acqua della doccia era fredda. cacchio, la caldaia si era rotta di nuovo e ci sarebbero voluti giorni prima di riuscire a far venire il tecnico a casa.
Ma quell’acqua gelida lo svegliò, rimise in movimento i suoi gangli cerebrali. Doveva lavorare su una consegna per la prossima settimana. Aveva a disposizione pochi giorni per fare il lavoro più importante della sua vita - almeno fino ad allora – e ci doveva riuscire.
Quindi, lÂ’imperativo ora era annullare tutti i pensieri. Solo tavole in autocad sullo schermo piatto di un pc ultima generazione per i prossimi otto giorni, solo questo.
Sorrise sarcastico come se già vedesse la scena. Il lavoro ad un certo punto finisce. Bisogna tornare a casa, anche in piena notte, anche stanchi morti. E per tornare a casa doveva attraversare quel ponte sul Tevere, ci volevano cinque minuti, bastavano.
Bastavano per farlo pensare, bastavano per fargli sentire dentro quellÂ’amarezza che non aveva una spiegazione.
Tra due settimane trenta anni.
Si vestì, scese le scale di corsa, si sentiva un po’ meglio anche se intontito. Si fermò al bar prima del ponte per un cappuccino ed un cornetto, anzi, solo il cappuccino perché l’idea di mettere nello stomaco qualcosa gli faceva venire voglia di vomitare.
Trentanni, cominciò a camminare sul ponte. Suo padre aveva avuto lui a trentanni ed era morto quattordici anni dopo.
“Ma non lo vedi il rosso, *********?”
Si ritrovò con il ginocchio destro a circa cinque centimetri dal parafanghi panciuto di una duecavalli. Il tizio che la guidava aveva una faccia tonda e rossa.
“Scusi, scusi tanto”. E corse dall’altra parte del marciapiede.
Suo padre aveva comprato una duecavalli giallo banana il giorno in cui Andrea era nato, chissà che fine aveva fatto.
Ecco il portone dello studio, altre scale da fare e poi i pensieri cesseranno di esistere e ci sarà solo lavoro. Andrea era sollevato.
Alle dieci di sera spense il pc. Erano rimasti in due nello studio. Stanchi si strizzarono lÂ’occhio. Anche solo lÂ’idea di un bicchiere di vino gli faceva venire voglia di gridare. Voleva solo il letto, il letto e quella strana magia detta sonno senza sogni che lo avrebbe proiettato nella nuova giornata, senza dolore.
Ma c’era il ponte da attraversare. Si tirò su il bavero del cappotto. Faceva freddo, meglio, avrebbe camminato a passo più spedito. Con le mani in tasca attraversò la strada correndo. Ripensò alla duecavalli di quella mattina ed alla macchina di suo padre. Le labbra gli si allargarono in un sorriso silenzioso mentre la mente gli proiettava negli occhi immagini lontane che non aveva mai ricordato. Lui ed i suoi fratelli sul sedile posteriore. Panini morbidi di marmellata, macchie di cioccolato lasciate con la punta delle dita sulla pelle fredda di quella duecavalli durante i loro viaggi estivi verso le vacanze. Il sorriso di sua madre che si girava per controllare cosa stessero combinando e gli occhi di suo padre, i suoi occhi, dei tre era quello che gli assomigliava di più, che lo guardavano sereni attraverso lo specchietto retrovisore.
C’era stato un tempo in cui si sentiva bene, era allora. Ora lo poteva anche ricordare. Ma era così lontano, così distante.
Dopo quel periodo poteva riportare alla mente distintamente una serie di eventi. Aveva sempre avuto una memoria infallibile. Ricordava tutto, date, volti, persone, conversazioni che si erano svolte anche anni prima. Era difficile prenderlo in giro. Ma teneva tutto per sé, sempre, e non perché gli altri non fossero interessati al suo mondo, ma semplicemente perché non aveva voglia di raccontarlo.
Ora, però, quel mondo premeva sul suo torace per venire fuori.
Alien, gli venne in mente il film horror mentre girava la chiave nella toppa.
Beh, meglio di un bicchiere di rum, pensò tra sé e sé. Meglio pensare ad Alien che non a bere. Mise su l’acqua per un piatto di spaghetti e poi si lanciò sul letto. Accese la tele per sentire i telegiornali di metà serata.
La luce azzurrognola dello schermo illuminò la stanza quasi vuota.
Arredamento minimalista o qualcos’altro? Quando qualche donna passava la notte da lui Andrea, ovviamente, diceva che quegli interni così spartani erano frutto di una sapiente scelta a metà tra la metafisica e l’architettura. Balle. Solo grandi, incredibili balle. Quella stanza priva di anima e disordinata anche se vuota era lo specchio fedele della sua condizione interiore. Design d’interni di Andrea De Santis. Chissà come sarebbe venuta in foto la sua anima su una di quelle riviste di architettura che facevano il giro del mondo. Sorrise mentre l’acqua cominciava a bollire. Fissava i giochi di luce sul soffitto che provenivano dalla televisione, ma non aveva ascoltato una sola parola di quello che diceva. Il rumore del palinsesto televisivo della notte lo coccolava senza farlo pensare. Bene, bene così.
Si alzò, versò degli spaghetti nella pentola. Otto minuti di cottura. Che si può fare in otto minuti? Andò in bagno, accese la luce e si guardò allo specchio. Aveva colorato tutti i mobili di un rosso scarlatto. Una sua amica gli aveva detto che sembrava il bagno di un boudoir. Sorrise ripensando a quel giorno. Poi si guardò. Fissò i suoi occhi nello specchio velato da calcificazioni di spruzzi di acqua. Era dimagrito. Aveva sempre avuto un fisico molto esile, ma ora era proprio magro magro. Lavorava tanto e mangiava poco. Normale. La faccia ossuta era ridotta ad un triangolo giallastro, le labbra erano esangui. Gli occhi, grandi, ora lo sembravano ancora di più, occupavano quasi interamente il suo volto risaltando come punte di un iceberg nell’oceano.
Capelli lunghi dietro le orecchie. Forse doveva tagliarli, ma non ne aveva voglia. Li portava così da anni, senza un verso, lunghi e basta. Gli piaceva la sensazione del vento tra i capelli quando prendeva la moto senza casco.
I suoi occhi lo fissavano, gli facevano delle domande, ma non le ascoltava, non aveva voglia di rispondere.
Prima di scolare gli spaghetti il cellulare squillò. Sua madre da Napoli.
“Andrea ciao!” ed un fiume di parole sul suo primo nipotino che era anche il primo nipotino di Andrea, sulle sue prime smorfie, sul nuovo gattino che aveva preso.
Gli faceva bene sentire sua madre. Lei, così chiacchierona. Adorava starla ad ascoltare in silenzio, annuendo qualche volta sui passaggi fondamentali con la testa.
“Mà, sto scolando la pasta. Ti richiamo più tardi?”
“Okey…ma, un’ultima cosa…lo sai che la duecavalli di papà ce l’ha un tizio qui di Napoli? Pensa che coincidenza”. E mise giù il telefono.
La duecavalli di papà ce l’ha un tizio di Napoli, pensa che coincidenza.
Le parole gli risuonavano nel cervello mentre apriva una scatoletta di tonno per condire a freddo gli spaghetti.
Si sedette, riempì un bicchiere di acqua e cominciò a mangiare.
La madre si era trasferita da poco a Napoli dove già abitavano i suoi due fratelli. Napoli gli era sempre piaciuta. Lì suo padre era nato, lì era nato anche lui, lì c’era la duecavalli adesso.
Cominciò a pensarci intensamente. Voleva quella macchina. Aveva sempre avuto delle moto, era pazzo per le moto, ma adesso voleva quella macchina.
Finì in fretta la pasta e con l’ultimo boccone ancora in bocca richiamò la madre.
“Mà, ciao, senti, come si chiama il tizio che ha la duecavalli?”.
L’alba seguente fu più morbida. La luce non gli feriva gli occhi. La testa era limpida. Nessun dolore allo stomaco, nessuna strana ed incomprensibile pesantezza.
Si sentiva leggero mentre volava fuori di casa. Erano le sette. Si bevve il ponte di corsa e prese un caffè sotto lo studio. Era il primo ad arrivare, c’era solo il filippino che faceva le pulizie, lo salutò strizzandogli l’occhio, erano entrambi di poche parole.
Lavorò bene quel giorno, riuscì ad applicare un briciolo di creatività ad un mare di numeri e ne fu soddisfatto. Staccò a mezzanotte. Stanco ma sereno. Aveva a lungo pensato alla duecavalli mentre stampava alcune tavole. Ed il pensiero lo rendeva felice. Perché? Boh.
Boh era l’espressione che ultimamente gli usciva più spesso di bocca. Era come un cieco che si lascia portare da un cane guida, che poteva essere l’amico o la donna di turno. Non si chiedeva mai dove stesse andando, si lasciava portare ed andava, quindi se gli chiedevano “Senti, ma come stai? Cosa provi? Cosa vivi?” rispondeva sempre con quel solito laconico “boh”.
Gli altri non riuscivano a capire Andrea. Conosceva mucchi di gente. Beveva, rideva, scherzava, lavorava con loro. Ma se un ipotetico intervistatore avesse rivolto ad ognuno dei suoi amici la semplice domanda “com’è Andrea?” le risposte sarebbero state evasive. Nessuno sapeva com’era Andrea veramente. A molti era simpatico, ma non troppo. Ecco, si manteneva costantemente nella “media” degli indici di gradimento delle persone. Era onesto, leale, quando poteva e nelle situazioni di emergenza dava sempre una mano. Ma la sua presenza era per così dire evanescente. Nessuno avrebbe potuto descriverlo, perché lui non li lasciava entrare. Aveva costruito un muro negli ultimi anni. Un muro solido e molto alto. Era un architetto, dopo tutto, e sapeva benissimo come costruire muri, sia esterni che interni.
Contro questo muro diverse donne si erano spaccate la testa, altre lo avevano bucato, ma fori molto piccoli, che avevano permesso di buttare uno sguardo rapido e circoscritto al di là senza però avere un’idea d’insieme. Quelle poche che avevano avuto la tenacia di graffiare il cemento con le unghie per bucare la parete di Andrea si erano però presto stancate e lui, pur tenendoci, aveva lasciato che andassero via, senza dire una parola, come sempre.
Gli venne in mente Sabrina. Una di queste ultime donne, forse la più tenace. Sorrise. Magari più tardi le avrebbe mandato un messaggio con il telefonino. Uno di quei messaggi criptici che si scambiavano ultimamente e che solo loro due potevano capire, come una stella cadente. Sabrina era una che parlava tanto, troppo, ma in fondo in fondo il muro l’aveva costruito anche lei e lasciava vedere e passare solo quello che voleva.
Sorrise di nuovo. Era quasi arrivato sotto casa. Aveva voglia di pizza, entrò in un negozietto ed ordinò una margherita a portar via. Aveva voglia della pizza di Napoli, ma si doveva accontentare di quella di Roma.
Il cellulare emise un suono rapido mentre aspettava la sua margherita e si era già mangiato un paio di supplì. Era suo fratello minore. Gli inviava il numero di un certo Gennaro, proprietario della duecavalli. Andrea sorrise di nuovo. Lo avrebbe chiamato la mattina seguente. Voleva quella duecavalli. Chissà perché, ma voleva comprarla.
Perché era stata di suo padre? Boh. Ancora boh.


...continua


bulè

L'ho letto sulla lumaca;

bellissimo articolo, complimenti.

ax

...

Approfittò della pausa pranzo il giorno dopo per chiamare Gennaro.
"Pronto, buongiorno, lei non mi conosce, sono Andrea De Santis, il figlio di Marco...beh, insomma, il figlio del vecchio proprietario della sua duecavalli". Si sentiva incredibilmente cretino e poi le parole gli uscivano fuori in modo stentato, come se fosse un ragazzino che non aveva ben chiaro cosa dire e che aveva una terribile paura del suo interlocutore.
Gennaro rispose da napoletano puro, da compagnone verace, con una voce gracchiante. Impose immediatamente l'uso del "tu" e lo sommerse di parole che Andrea non sapeva come gestire. Alla fine della telefonata sapeva un mucchio di cose di Gennaro: che era un distributore di patate all'ingrosso, che aveva due figli, che stava facendo montare il satellitare sulla sua nuova auto, che aveva parecchi soldi e gli piacevano le automobili d'epoca, che la duecavalli era intestata in realtà a suo padre, che quella sera sarebbe andato a teatro a sentire la Ricciarelli anche se c'era la partita dell'Inter e che Andrea gli stava simpatico e quindi gli avrebbe fatto piacere risentirlo.
Riprese a lavorare in uno stato di frustrazione. Detestava non riuscire subito ad ottenere delle risposte chiare e precise dagli altri. Insomma, voleva comprare quella duecavalli, ma Gennaro non gli aveva detto né sì né no. L'aveva bombardato di parole. cacchio, un mare di parole che l'avevano quasi stordito ma alla fine nulla di fatto. Era rigoroso Andrea, ed esigeva che gli altri lo fossero come lui, ma gli altri non sono come lui, almeno non tutti. Messaggio sms. Sabrina, una stella cadente. Cavolo, si era dimenticato di mandarle un messaggio la sera prima, almeno per farle sapere che era ancora vivo. L'avrebbe chiamata ma non ora, adesso c'era di nuovo il lavoro, la data della consegna era alle porte.
"Certo che chi non muore si risente, eh?". La voce di Sabrina quella notte era squillante come al solito. Erano quasi le due, ma ormai avevano fatto l'abitudine a parlare a qualsiasi ora della notte, anzi era meglio, le cose dette scivolavano via più fluide, meno intoppi, i pensieri a quell'ora della notte sono più liberi.
"Ti racconto una storia, Sab". Disse Andrea e senza volerlo gli raccontò della duecavalli, tutto della duecavalli e qualcosa di suo padre, brevi accenni, ma c'era anche lui, e Gennaro e le sue patate all'ingrosso. Sabrina dall'altra parte del telefono ascoltava in silenzio. A tratti rideva, sui passaggi della conversazione con Gennaro. Poi una lunga pausa e partì per una delle sue crociate. Andrea aveva messo in moto il meccanismo. Raccontando questa cosa a Sabrina non si rendeva conto che aveva perso ogni potere decisionale, ora la storia era roba sua e l'avrebbe gestita lei.
"Certo che tu non riesci proprio a convincere le persone. Sei un impotente verbale. Facciamo così, richiama Gennaro tra un paio di giorni e se ancora fa il vago allora dammi il suo numero che lo chiamo io. Vedrai che ti farò avere quella duecavalli, cacchio. E'una questione di principio.".
Sabrina era una di quelle persone convinte che ogni cosa basta volerla un po' per averla. Le parole le sapeva usare certo meglio di lui, in fondo era una giornalista. Lo faceva sempre ridere, con quel suo carattere da amazzone. La situazione gli era sfuggita di mano. Le promise che se Gennaro non gli avesse dato una risposta le avrebbe permesso di entrare in campo, ma sapeva anche benissimo che lei ci era già entrata ed aveva anche iniziato il riscaldamento.
Prima di dormire le rimandò la stella cadente, poi spense il cellulare. Che casino. Le cose si muovevano velocemente, però in fondo non gli dispiaceva più di tanto. Era bello quell'inaspettato movimento.
I prossimi tre giorni sarebbero stati stressanti. Lo sapeva, era sempre così prima di chiudere una consegna. Lo Studio partecipava ad un concorso per la realizzazione del nuovo villaggio olimpico di Pechino. Roba grossa. Un giro incredibile di miliardi. Andrea di tutti quei miliardi se lo Studio avesse vinto non avrebbe visto un soldo, ma non era per questo che lavorava, non era per diventare ricco che aveva scelto di fare l'architetto.
Suo padre era un artista. Lui no o, almeno, pensava di non esserlo. Sabrina pensava il contrario. Gli architetti sono un po' artisti e forse suo padre in quel modo aveva lasciato un'impronta genetica su Andrea. Ma lui a queste balle non ci credeva. Era un tipo concreto, razionale, non come Sabrina che aveva bisogno di grossi pesi alle caviglie per non farsi trascinare sempre via in volo dai sui pensieri.
Andrea era pratico, essenziale, minimalista. O era anche questa una balla?
Boh.
Furono tre giorni di fuoco. Alla fine il progetto fu finito. Le tavole stampate ed inviate con un plastico spettacolare in Cina. I tempi rispettati anche se avevano lavorato di notte. Andrea aveva dimenticato l'ultima volta che aveva dormito.
Stava camminando verso casa. Aveva fame ma il sonno e la stanchezza erano più forti. Avrebbe mangiato domani, ora voleva solo dormire.
Entrò dentro casa. Si spogliò al buio. Il cellulare squillò. Gennaro aveva parlato con Sabrina, alla fine lei si era messa in mezzo, e gli diceva che la duecavalli era sua, ma non adesso. Gli dava appuntamento quel fine settimana a Napoli per parlarne. Solito racconto della vita famigliare e professionale di Gennaro, silenzio di Andrea. Fine della conversazione.
Mentre si abbandonava al sonno pensò a Sabrina. Cavolo, chissà che gli aveva detto. Ci sarà andata giù pesante. Fu un pensiero rapido poi il nulla.
La mattina seguente non era mattina ma primo pomeriggio. Si sentiva ancora stanco quando aprì gli occhi. Già, saltare due tre notti di sonno e lavorare non si recupera così in fretta.
Dopo aver mangiato un panino con i resti della spesa di alcuni giorni prima andò verso la Stazione Termini e comprò un biglietto per Napoli per quel fine settimana. Era una magnifica giornata di sole e Roma ha il fascino di una strega quando ci sono certe giornate. Bastava semplicemente passeggiare per subire un sottile incantesimo che faceva stare bene, che liberava la testa da ogni pensiero e che faceva sentire leggeri come una nuvola.
Gennaro era proprio come al telefono. La trasposizione perfetta di una sonorità. Una di quelle persone che allungano le mani e ti toccano mentre parlano, e mentre parlano mangiano qualcosa e poi gli rimane sempre qualche pezzetto di cibo tra i denti. Andrea detestava quel tipo di persone. Erano seduti al tavolino di un bar all'aperto a Napoli. Si vedeva distintamente il Vesuvio. L'aria era limpida, niente foschia. Era proprio bella Napoli.
Andrea allora non sospettava che quel primo incontro sarebbe stato solo il capofila di una sfilza di telefonate di lui, Sabrina, amici e parenti vicini al reuccio della distribuzione di patate, per convincerlo a vendere la duecavalli gialla.
Gennaro continuava a prendere tempo, e le settimane passavano. Andrea aveva ampiamente compiuto i trentanni e la vena pessimistica che lo caratterizzava lo stava convincendo che quella macchina non l'avrebbe vista mai.
Poi, inaspettatamente, un sabato mattina di quasi estate Gennaro lo chiamò.
Andrea era a Napoli per il compleanno di suo nipote. Gli dette appuntamento in un bar di Posillipo per mezzogiorno.
Andrea accettò di malavoglia, ma questa volta era deciso a chiudere la partita. Era stanco. Non sopportava più di dover essere gentile con uno come Gennaro. Avrebbe voluto mettergli le mani addosso. Lui la gente così la detestava profondamente, non riusciva proprio a sopportarla. Non sopportava la sua gestualità, il suo modo di parlare, la sua superficialità, i suoi modi rozzi e pacchiani.
Gennaro si era come al solito imbottito la bocca con gli stuzzichini dell'aperitivo che si stavano prendendo. Aveva mani corte e grassocce. Guardandogli le mani Andrea pensò che anche Sabrina che faceva tanto la diplomatica l'avrebbe detestato.
"Senti Andrea, io quella macchina te la voglio dare." Ecco, finalmente venivano al punto, altri cinque minuti di chiacchiere inutili ed Andrea sarebbe sbottato.
"Va bene, allora accordiamoci sul prezzo e concludiamo, no? Lo sai quanto tengo a quella macchina, era la macchina di mio padre...". Pronunciando queste ultime parole – di mio padre - Andrea sentì qualcosa pizzicargli lo stomaco. Un dolore sottile e lontano, ma ci passò sopra. Probabilmente aveva solo fame, Gennaro dopo tutto aveva razziato tutto l'aperitivo.
"Sì, ma, capisci, quella macchina è intestata a mio padre..."
"Non c'è problema, si può ugualmente fare la vendita, mi sono informato e so che trafila bisogna seguire". Disse Andrea. Si stava spazientendo. Le solite scuse, le solite parole inutili, ma dove voleva arrivare Gennaro?
"Va bene, ma devi sapere che io ho un nipote che ha appena compiuto diciotto anni...". Eccolo lì. Adesso attaccava con la solfa del nipote. Lo aveva detto anche a Sabrina durante una delle loro ultime telefonate fiume. Questa storia del nipote non reggeva.
"Siamo in molti ad avere un nipote, sai? Anche io ho un nipote Gennaro". Sentiva la sua voce che usciva incazzata. Percepiva l'incazzatura montante e non riusciva ad impedirsi di parlare così. Conta fino a dieci Andrea, conta fino a dieci, cerca di essere suadente e gentile, come diceva sempre Sabrina, o qui salta tutto.
"Voglio dire, mio nipote ci potrebbe rimanere male che lui prende la patente ed io ti do la duecavalli. A lui piace quella macchina. Lo devo convincere piano piano".
cacchio, ora gli spacco la faccia, mi alzo e gli do un pugno dritto su quel naso da ciccione venditore di patate.
Invece, con una voce irreale:
"Capisco, Gennaro, ma cerchiamo una soluzione rapida, io ci tengo sul serio a quella macchina, ne parliamo da mesi, forse per tuo nipote è solo una bella duecavalli che adesso è tornata di moda...ma per me è qualcosa di più, di molto di più...". La voce di Andrea era dolce, e dalla dolcezza il tono si trasformò quasi subito in un'implorazione, Andrea era esterrefatto, non aveva mai implorato nessuno. La sua voce era pura melassa supplichevole, lasciò la frase a mezz'aria. cacchio, stava aprendo il suo cuore al re del kitch napoletano. Di nuovo il pizzico allo stomaco.
Gennaro si accorse del cambiamento. Lo fissò per un attimo in silenzio, condizione che per lui doveva essere rarissima.
"Vabbuò, Andrea, ti prometto che te la regalo, anche io ho dei figli, lo so cosa significa quella macchina. Non so nemmeno se cammina ancora, è in fondo al mio garage. La vuoi vedere prima?".
Ora era Andrea a non avere parole. Ammettiamolo, quel ciccione di Gennaro l'aveva fregato. Aveva detto l'unica cosa che Andrea non si sarebbe mai aspettato avrebbe detto. La macchina è tua. Come suonavano bene quelle parole, talmente bene che anche un grazie sembrava inutile. La macchina è tua, quattro parole che suonavano come le leggi del mondo, perfette.
Andrea sorrise.
"Sì, la voglio vedere". Ora il suo tono non era più dolce, ma sereno, virilmente soddisfatto.
La vecchia duecavalli brillava come sedici anni prima. Un giallo accecante, magnifico. Andrea provò ad accendere il motore, dopo qualche minuto di tentativi la macchina cominciò a respirare. Sì, gli sembrava che respirasse davvero. All'inizio gli era sembrata un po' ingolfata, adesso invece il motore emetteva un suono regolare.
"Quando la posso prendere?".
"Anche ora". Rispose Gennaro stranamente conciso.
Lo aiutò a spostare le altre macchine e poi uscì fuori dal garage con la sua duecavalli nuova e vecchia di zecca. Era sua, non ci poteva credere.
Si accordarono rapidamente sul passaggio di proprietà. Nelle cose pratiche Andrea prendeva sempre in mano la situazione e la risolveva al più presto. Poi si avviò verso casa di sua madre, che era stata anche la casa dei suoi nonni, i genitori di suo padre.
Mentre guidava sulla tangenziale di Napoli guardò nello specchietto retrovisore, ma non per vedere le macchine che gli stavano dietro. Guardò nello specchietto per vedere quello che aveva visto suo padre quasi trenta anni prima e si vide, eccome se si vide.
Il piccolo Andrea era seduto lì, un po' imbronciato perché lo stavano portando dal dentista. Doveva avere otto anni ed i dentisti non gli erano mai piaciuti, gli avevano sempre fatto paura. Restituiva lo sguardo a suo padre dallo specchietto e suo padre gli strizzava l'occhio, ecco allora da chi aveva imparato.
"Dai, Andre, che dopo il dottore ti porto alle giostre", aveva detto suo padre allargando un sorriso. Anche Andrea gli aveva sorriso ed un po' di paura era andata via. Poi, più serenamente, si era voltato a guardare fuori dal finestrino le case e le cose che passavano. Ricordava il tepore del sole che gli entrava negli occhi ed il vento che gli batteva sulla fronte entrando dal finestrino semiaperto di suo padre. Era una giornata luminosa.
Davanti all'entrata di casa di sua madre. Percorse lentamente il vialetto. Il sole tagliava i rami degli alberi ad alto fusto che da anni vivevano in giardino. Era uno splendido sabato pomeriggio. Tra qualche ora sarebbe stata una magnifica sera. Vide sua madre, immobile, dietro la finestra del piano terra. Aveva una mano sulla tenda bianca, ferma, guardava la duecavalli. Non un cenno, ma se le fosse stato vicino Andrea avrebbe percepito che gli occhi le si muovevano felici, come lo erano stati molti anni prima. Che bei capelli rossi aveva sua madre dietro quella grande finestra, avrebbe dovuto dirglielo prima. Glielo avrebbe detto oggi.
Spense il motore per uscire ma rimase in macchina. Quel sole, quel giardino, quella stupida duecavalli gli avevano sciolto qualcosa dentro. Poggiò la testa sul sedile e chiuse gli occhi.
In silenzio, con le mani strette al volante cominciò  a piangere.
Cristo, quanto tempo era che non piangeva? Boh. Ancora e sempre boh. Forse aveva pianto alcune volte, nel corso di quegli anni, ma le ultime lacrime che riusciva a ricordare erano quelle al funerale di suo padre. Dopo, tutte le altre lacrime non avevano lasciato un segno vero, avevano solo fatto un po' male lì per lì, ma le ferite si erano rimarginate in fretta.
Dopo sedici anni era sicuro di aver superato il dolore per la morte di suo padre, ma quella stupida duecavalli gli stava dicendo di no, che si era maledettamente sbagliato. Quel dolore aveva semplicemente imparato a coprirlo, come fanno i gatti che nascondono quello che non gli piace, ma le cose rimangono lì e sotto la sabbia le forme prima o poi si riconoscono.
cacchio che male. Andrea sentiva il tepore del sole di fine primavera che filtrava dal vetro della duecavalli. Un tepore identico a quello di quel lontano pomeriggio quando lo stavano portando dal dentista.
Le lacrime sorde continuavano a scendere. Rabbia, rabbia per gli ultimi sedici anni passati da solo. Rabbia per non aver potuto vivere come un ragazzo normale ma sempre e comunque nella condizione di uno un po' sfigato che ha perso il padre da adolescente. E gli mancava suo padre. cacchio come gli mancava. Pensava che non gli sarebbe mancato più, era convinto di essersi abituato a quel buco immenso che aveva avvertito dentro di sé il giorno in cui gli avevano detto che non aveva più un padre. Pensava quasi di averlo dimenticato; a volte, durante alcune serate malinconiche, si era rammaricato con se stesso perché non riusciva a riportare alla memoria il suono della sua voce, ma suo padre era sempre rimasto lì, dentro quella macchina, dentro di lui, negli occhi in movimento di sua madre dietro la finestra.
Era per riuscire a vedere e a sentire queste cose che aveva voluto quella duecavalli, ora se ne rendeva conto.
Il dolore vero è una cosa bastarda, prima o poi va affrontato. Non passa, non muore ma torna e torna quando meno ce l'aspettiamo. Ci aveva messo più di sedici anni ed ora finalmente l'aveva capito.
Era questo il punto di rottura, la lastra di ghiaccio che va in pezzi, il bisogno di dormire e di vivere senza pensare, era solo questo.
Dentro la sua nuova duecavalli Andrea pensò che poteva riabbracciare il passato. Poteva vederlo, sentirlo, toccarlo, viverlo.
Dentro quella stupida vecchia macchina poteva essere triste, arrabbiato, felice. Poteva gustarsi il presente senza essere obbligato a dimenticare. Aprì la cappotta per far entrare il sole. Il metallo scricchiolò, ma il meccanismo funzionava ancora alla perfezione. Suono di passi sul viale.
Aprì anche gli occhi, ma vide tutto scuro. Dopo qualche secondo mise a fuoco la figura vicino alla portiera. Era sua madre. Lei aprì lo sportello pesante e con la sua mano aggraziata e bianchissima prese la mano di Andrea. Sorrise come faceva sempre, di un sorriso dolce e forte, mentre gli tirava il braccio per farlo uscire. Andrea fu colpito dalle sue profonde rughe sotto gli occhi, intense come quelle dei pescatori, non ci aveva mai fatto caso.
"Vieni dentro, ho preparato il thè". Disse solo questo.





scanner79

Certe volte è meglio tacere e passare per idioti che parlare(scrivere) e dissipare ogni dubbio!!!

obelix

(felice)
Splendido articolo! l'ho letto anch'io sulla LdL. Complimenti!!!e grazie  :)
(appl) (appl) (appl) (appl) (appl)
Se no ghe fosse el ponte el mondo sarìa un'ìsoea
(Se non ci fosse il ponte il mondo sarebbe un'isola)
Sìe ore ea cresse, sìe ea càea (Sei ore cresce,sei ore cala : la marea ma anche la fortuna)  www.venessia.com

ax

i complimenti per il racconto sono tutti per la mia cara amica Akiko
in questo momento, nel suo caso è d'obbligo il valore tempo  :D, giornalista al Riformista  (muoio)
http://www.ilriformista.it/stories/red/I%20Riformisti/40666/

scanner79

Una persona da conoscere e che, secondo me, si troverebbe molto a sua agio nell'ambiente 2cavallistico!!!

(felice)
Certe volte è meglio tacere e passare per idioti che parlare(scrivere) e dissipare ogni dubbio!!!

Pacifico

Non camminare dietro a me, potrei non condurti.
Non camminarmi davanti, potrei non seguirti.
Cammina soltanto accanto a me e sii mio amico. Albert Camus

charleston81

molto bella, non vedo l'ora di guidare la mia Charleston
Andrea

ax

oggi alfonsina è stata allo ScannerBOX!
aveva fatto la spesa on line per alcune migliorie... e con il supporto mario ci siamo messi al lavoro  ;D

emmm... mi correggo: mario al lavoro, io mi sono autopromosso "o'uaglion'"

scanner79

E' stata una Bella giornata, dove abbiamo approfondito la nostra amicizia e anche lo stato di Alfonsina!!!

"O' uaglion" si è comportato egregiamente!!!!Impara velocemente!!!


(felice)
Certe volte è meglio tacere e passare per idioti che parlare(scrivere) e dissipare ogni dubbio!!!

Anita

Citazione da: scanner79 - 22 Novembre 2010, 09:38:52 AM
E' stata una Bella giornata, dove abbiamo approfondito la nostra amicizia e anche lo stato di Alfonsina!!!

"O' uaglion" si è comportato egregiamente!!!!Impara velocemente!!!


(felice)


C'ero ank'io c'ero ank'io!!!  ;D ;D ;D
YuppiYuppiYuppiIeaaaaaa!!! :DDD

Watson

Citazione da: Anita - 22 Novembre 2010, 10:55:44 AM
C'ero ank'io c'ero ank'io!!!  ;D ;D ;D

Ma anche tu "O' uagliona" (spero non sia una brutta parola  (nonso)) hai imparato velocemente (??)

(appl)

Citazione da: scanner79 - 22 Novembre 2010, 09:38:52 AM
"O' uaglion" si è comportato egregiamente!!!!Impara velocemente!!!

(felice)


W la vita

"non postare" è un pregio se ci si accorge di non avere nulla da dire, ma non tutti se ne accorgono. [Magomerlino]  La vita dura poco, se non giochiamo ora...  Watson nel cuore Gaia felicemente... tra i piedi

ax

Citazione da: scanner79 - 22 Novembre 2010, 09:38:52 AM
..."O' uaglion" si è comportato egregiamente!!!!Impara velocemente!!!

ho capito una cosa...
- a smontare si fa presto e l'umore è alto, c'è il sole e i gatti partecipano;
- a rimontare il tutto si fa tardi, arriva il buio, l'umido, e i gatti miagolano!
;)


ax

#78
caro watson...
per citare il napoletano, devi procedere a un corso accellerato!
io sono 40 anni che mi esercito, visto che sono mezzo crucco! e i miglioramenti si fanno sentire

O' uaglion'  sostantivo maschile singolare
A' uaglion'  sostantivo femminile singolare
;D

Citazione da: Watson - 22 Novembre 2010, 11:43:53 AM
Citazione da: Anita - 22 Novembre 2010, 10:55:44 AM
C'ero ank'io c'ero ank'io!!!  ;D ;D ;D

Ma anche tu "O' uagliona" (spero non sia una brutta parola  (nonso)) hai imparato velocemente (??)

(appl)

Citazione da: scanner79 - 22 Novembre 2010, 09:38:52 AM
"O' uaglion" si è comportato egregiamente!!!!Impara velocemente!!!
(felice)

A'uaglion' ci ha rifornito di mozzarelle!!!  (appl)  (muoio)
(felice)

Anita

YuppiYuppiYuppiIeaaaaaa!!! :DDD

Watson

Grazie per il corso accelleratissimo di napoletano  ;D


aaaaaah. le mozzarelle del Salernitano, (mang1) ricordo che erano squisitissime (mang)


P.S. anch'io per il motivo da te indicato evito di smontare qualunque cosa, neh .... 


Citazione da: ax - 22 Novembre 2010, 11:47:46 AM
ho capito una cosa...
- a smontare si fa presto e l'umore è alto, c'è il sole e i gatti partecipano;
- a rimontare il tutto si fa tardi, arriva il buio, l'umido, e i gatti miagolano!
;)
W la vita

"non postare" è un pregio se ci si accorge di non avere nulla da dire, ma non tutti se ne accorgono. [Magomerlino]  La vita dura poco, se non giochiamo ora...  Watson nel cuore Gaia felicemente... tra i piedi

scanner79

Per le 2cv ci vuole tempo e passione.

La passione è tanta e c'è sempre. Il tempo è sempre tiranno, poi ci si mettono anche gli imprevisti che per una 2cv devono essere sempre previsti e questo il risultato.

Comunque anche così è andata bene. E' stata una piacevole giornata!!!

(felice) (guid)


P.S.
Il gatto l'avrei voluto strozzare!!!ci accompagnato tutta la giornata con i suoi lamenti!!!!Ieri ha dato il meglio di se!!!

Certe volte è meglio tacere e passare per idioti che parlare(scrivere) e dissipare ogni dubbio!!!

ax

atti osceni in luogo pubblico  (sorpreso)

la foto non rende "il movimento"... mario sta letteralmente pompando 
;D

ax

il nostro piccolo guru dei 2 golfi (appl) deve ancora farne di strada...
qui è stato ripreso mentre sta palesemte copiando   (muoio)

scanner79

Citazione da: ax - 22 Novembre 2010, 16:36:12 PM
atti osceni in luogo pubblico  (sorpreso)

la foto non rende "il movimento"... mario sta letteralmente pompando 
;D

è vero!!!dovrò procurarmi una pistola da attaccare al compressore ... ormai mi sono stancato di pompare a mano!!!

Citazione da: ax - 22 Novembre 2010, 16:38:58 PM
il nostro piccolo guru dei 2 golfi (appl) deve ancora farne di strada...
qui è stato ripreso mentre sta palesemte copiando   (muoio)


Grazie per il Guru, ma sono veramente piccolo quasi infinitesimale rispetto a certi mostri che circolano sul forum.
La foto ne è la prova!!!

(felice) (guid)

Certe volte è meglio tacere e passare per idioti che parlare(scrivere) e dissipare ogni dubbio!!!

ax

ieri piccolo lavoretto...

cambio batteria!!!  (su)

il portabatteria è completamente marcio, lo ho smontato e pulito alla meglio ma dovrò sostituirlo... però cacchio quanto costa! ... un piccolo "lamierino" (stupid)

manca ancora la basetta per il regolatore di tensione... ma anche per questo provvederò!

salbifulco

Bravo vedi che hai cambiato il colore, bianco, bello  ;D
sdeghedè sdeghedè

ax

oggi passegiata a Napoli...

peccato piovesse  (giu)

ax

alfonsina sotto casa... a Napoli!

da notare che ho parcheggiato pochi minuti lungo il corso proprio davanti il portone di casa...
e per evitare incroci con la linea C16 del bus che passa proprio di qui...
ho invaso il marciapiede sulla sinistra per proteggere la destra!!!  (su)
ovviamnete tutto il lato sinistro è in divieto di sosta... ma in città siamo in troppi!  (sorpreso)



sullo sfondo a destra i Quartieri Spagnoli... ahimè la giornataccia non si prestava alla panoramica sul porto  (giu)

ultima indicazione:
una notte di alfonsina al garage in Napoli centro 15€ !  (muro)

scanner79

BELLA!!!

Oggi anche io e Anita eravamo a Napoli, ma solo di passaggio!!Siamo andati al teatro Diana al Vomero ad un concerto del fratello di Anita.

Che giornata umida!!!!

(felice)
Certe volte è meglio tacere e passare per idioti che parlare(scrivere) e dissipare ogni dubbio!!!