Cacciati dal rifugio emergemmo dallo scantinato in prossimita' dell'ingresso sud dell'immenso nosocomio.
Iachino, per rendersi meno riconoscibile, si libero' del camice abbandonandolo su di una siepe di bosso derelitto; disse che era una pratica comune fra i medici, lo disse senza che io gli chiedessi ragione del suo operato.
Guadagnare l'uscita non fu impresa semplice, nulla attira l'attenzione degli sfaccendati quanto chi cerchi di passare inosservato.
Scegliemmo un vialetto ombreggiato che puntava in direzione della rampa d'accesso alla struttura e cominciammo la fuga.
Stavamo per sbucare fuori dal vialetto quando, come fosse in agguato, ci si paro' davanti una figura d'uomo vestito di nero.
Quel "malaugurio" era avvolto in un ampio e luguberrimo tabarro uguale, penso, a quelli in uso agli edepti della carboneria nel diciannovesimo secolo.
Allargando le braccia, quasi si preparasse a concupirci, ci chiese, con voce untuosa, se avessimo mai pensato seriamente alla morte; cosi' dicendo ci infilo' in mano dei cartoncini che odoravano di fiori appassiti e davano mostra d'essere biglietti da visita.
Senza dargli il tempo di scoprirci sorpresi risposi che "si, neanche a farlo apposta, avevo proprio pensato alla morte, appena una decina di minuti prima"; cosi' dicendo rivolsi uno sguardo ironico a Iachino che, nel frattempo, si era infilato la mano libera dentro la tasca per una "punizione a due".
Nell'attesa che faccia di gomma proseguisse l'azione con la palla che gli avevo appena elegantemente passato buttai un occhio al cartoncino.
La "Tadarida Brasiliensis S.A.S", prometteva di riservavare una degna sepoltura a tutti quelli che lasciavano in vita qualcuno che potesse spendere con ampia disponibilita' di contante.
Iachino ando' a rete nel giro di due secondi; disse di aver gia contribuito a portare clienti alla categoria e in conseguenza di cio', al momento, si stava concentrando nella ricerca di un penalista che fosse in grado di sostenerlo in primo grado.
L'uccellaccio si allontano' mostrandoci le palme delle mani in segno di resa e chinando il capo in segno di rispetto.
Tornati padroni delle nostre mosse ci liberammo dei cartoncini bordati di nero lanciandoli dentro un'aiuola, polvere alla polvere, cenere alla cenere, sudiciume al sudiciume.
Senza dare l'impressione di essere in fuga ci affrettammo sulla via, ignorando, per quanto possibile, un buon numero di sinistri individui dei quali il nosocomio pareva fosse pieno.
Un venditore di paccottiglia ci offri' un palloncino a forma di gallinaceo, disse che andavano molto di moda in quel periodo; in alternativa ci consigliava un portachiavi "faunistico", due scimmie che simulavano il coito; "questa roba va forte", ci informo'.
Un addetto alle cucine ci offri' un contenitore zeppo di cibo rifiutato in corsia; volendo potevamo portar via anche il contenitore, con minimo sovrapprezzo; ci consiglio' di approfittare della generosa offerta, a suo dire i porci andavano matti per quella roba.
Una donna dalla voce sospettosamente profonda ma che odorava di gelsomino dell'Aspromonte si pregio' di informarci, con accento vagamente lusitano, che se era compagnia che cercavamo, bene, che sospendessimo ulteriori ricerche, l'avevamo trovata; disse di chiamarsi Furia, come il celeberrimo cavallo nero.
Un infermiere guercio ci domando', a bassa voce, se fossimo degli scappati di casa; la sua non era semplice curiosita', per poche centinaia di biglietti da mille ci offriva vitto e alloggio a tempo indeterminato, in corsia, presso "Chirurgia Sperimentale"; il primario, un certo Josif Mengele, ultranovantenne, non avrebbe fatto caso alla nostra presenza.
L'ultimo intoppo realmente degno di nota, lo superammo proprio in vista del traguardo, vicino alla rampa d'accesso.
Scorgemmo una ragazza dalla faccia buona e gentile che brandiva un libro voluminoso come se volesse darlo addosso a chiunque gli capitasse a tiro.
Quando le passammo accanto, invece di colpirci con quello che si rivelo' essere un libro di preghiere, ci chiese, con voce soave, se sapessimo di possedere un'anima.
Faccia di gomma tiro' diritto, io mi fermai ammaliato.
Raramente guardavo il viso delle ragazze all'epoca, non subito perlomeno; in quel caso non si poteva fare altro, quella predicatrice era talmente ricoperta di vestiario da poter raccogliere more in un roveto senza graffiarsi.
L'ovale del suo angelico viso parlava di comunione dello spirito e di mortificazione corporale.
Il suo esile collo alabastrino era circondato, all'altezza dell'ugola, da un colletto che ornava la parte superiore del suo saio di monastica fattura e che faceva pensare alla corolla di un fiore.
Come due palpitanti tortorelle vidi le giugulari sforzarsi, strozzate com'erano, di pomparle sangue al cervello.
Altro non potei vedere, ugualmente rapito ne rimasi.
Iachino guardandosi attorno nervosamente, come fosse determinato ad evitare una qualche catastrofe che presentisse imminente torno' indietro e, uncinatomi all'altezza del gomito, si sforzo' di liberarmi dai lacci con i quali la maliarda mi aveva soggiogato.
La ragazza, vedendosi portar via quello che credeva fosse un futuro adepto, gli ripete' la stessa domanda di prima, e lui, sgarbatamente, le rispose che sapeva benissimo di possedere un'anima ma non intendeva cederla, a meno di non ricevere una sostanziosa offerta in dollari; non avrebbe accettato altra valuta, concluse.
Scandalizzata, la ragazza comincio' a redarguire faccia di gomma, con voce dura, usando oscuri termini ecclesiastici; termino' la reprimenda intimandogli di non sciupare gli ultimi sette giorni, e cosi' dicendo si pose la mano sul cuore rivelando, suo malgrado, un petto che raccontava della creazione e della costola d'adamo.
Iachino, frapponendosi fra me e la costola che sapevo mancarmi, sibilo' alla ragazza di smettere di fare la gatta morta, oppure, nel caso non riuscisse ad impedirsi di farlo, che almeno cambiasse sarta.
La ragazza, vistasi sopraffatta da quel satiro nerboruto, si segno' e poi si allontano' per consultare il suo librone, usando un laccio rosso per aprirlo, quasi a meta' delle pagine.
Riguadagnatomi al peccato, il satiro mi trascino' via promettendomi, se solo avessi smesso di sbavare, di presentarmi la sorella di "Debhora la sciantosa" che minacciava di voler prender i voti prima dell'estate, se solo non avesse trovato uno straccio di maschio nel frattempo, come seppi in seguito.
Non ho mai accettato mezze misure per quello che concerne le faccende di cuore; recalcitrando dichiarai che se non potevo avere una santa allora non avrei accettato niente che fosse meno di una sciantosa.
Iachino mi promise la sciantosa e io mi lasciai portar via.
Zucchero
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