Promisero che ci avrebbero portato in alto, in un altro mondo; ci avrebbero fatto vedere un'altra Sicilia.
Guardando la foto anche a me che sono siciliano parve di guardare l'immagine di un altro mondo, perche' le mie montagne hanno un altro colore e un'altra forma.
La Sicilia e' venuta fuori dal mare a piu' riprese, uno spezzone alla volta; chiunque l'abbia messa insieme questa isola, deve aver fatto una bella fatica, ma ha fatto anche un buon lavoro, percorrendo la dorsale tirrenica ho cercato con lo sguardo qualche punto di sutura e non l'ho trovato, come se i due antichi bastioni di roccia fossero ancora avvinghiati nella lotta o nell'abbraccio riconciliatore.
Guardando la foto me lo figurai come un piccolo angolo di paradiso; chiunque calpesti le strade del mondo si fa l'idea che il paradiso, quale che esso sia, si trovi da qualche altra parte, lontano da se.
Vi sono due tipi di lontano, il lontano nello spazio e il lontano nel tempo, capita di prediligere o di temere uno dei due tipi a seconda della propria inclinazione di pensiero, una inclinazione connaturata, istintiva.
Quando vi giunsi mi parve che fosse davvero un piccolo angolo di paradiso, la strada era in salita e lo strappo finale era fin troppo impervio e stretto, da passarci uno per volta, e si nascondeva nel fitto degli alberi come a voler concedere il premio finale solo a chi non si fosse arreso fino alla fine.
Un cancelletto e pochi gradini conducevano ad uno spiazzo alberato; capii all'istante che ci avevano portato in montagna ma non ci avrebbero abbandonati nel bosco.
Come un novello pollicino mi ritrovai ad annusare l'aria e capii all'istante che avrei avuto ben altro che le briciole da portarmi dietro quando mi fossi deciso a ritrovare la via di casa.
Sulla destra si trovava una vecchia dimora, guardandola volli immaginare la costruzione a pietre, pietre nascoste da una recente mano d'intonaco; volli immaginarlo perche', in qualche modo, il lontano che ho sempre prediletto si dilata nel tempo, giammai nello spazio, tant'e' che entrandovi trovai la vecchia dimora ampia ed accogliente.
A poche decine di metri trovava panoramica collocazione una recente dacia edificata in legno, legno che allo sguardo classificai come balcanico o al piu' scandinavo, legno comunque lontano nello spazio, non autoctono; non degnai di uno sguardo la dacia ne' mi ci avvicinai se non nel tardo pomeriggio.
Lontano nel tempo i mastri muratori dopo aver coperto il tetto di una casa tornavano all'esterno e nel posto che prometteva la migliore ombra estiva allungavano un "bisolo" in muratura destinato a rendere confortevole il meritato ozio dei vecchi di casa, i vecchi sopravvissuti; una volta usava cosi'.
Su quel bisolo raccolsi e rimescolai nella mente i suoni e le cadenze di tutti i dialetti d'italia, se non tutti buona parte, che' siamo tutti cugini d'italia, che' quando pianti un albero non puoi mai sapere dove diavolo andranno a cacciarsi le radici; se solo ti trovi un posticino in ombra puoi aspettare che l'albero cresca e vedere come si sviluppa la fronda, solo questo.
In Sicilia i bisoli si trovano tutti a livello del suolo, sono bassi e ruvidi, che i siciliani siamo rustica progenie.
A livello del suolo puoi divertirti a rovistare nella "soffitta" di chi ti passa davanti, perche' se e' vero che tutti hanno qualcosa che gli frulla per il capo e' anche vero che tutti hanno qualcosa scritto in fronte, devi calcarti la coppola sugli occhi se hai qualcosa da nascondere; la coppola mi sembra sia il vero simbolo dell'omerta'.
C'era un uomo addetto alle cucine, non era un uomo qualsiasi; Domenico si chiamava, "caro al Signore" recita l'etimologia, come me d'altronde.
Doveva essere un amico del padrone di casa; sembrava contento quando scodellava la minestra o quando tirava fuori dalla brace brani di carne succulenta.
In connivente reticenza non volle rivelarmi la composizione della marinata dove aveva fatto salmistrare le carni degli olocausti.
In connivente approvazione annui' col capo quando il boss mi consiglio' di condire il minestrone con un'abbondante spolverata di ricotta, ricotta munta e preparata poco distante, laggiu fra le colline arrotondate poco distanti.
Doveva essere un amico del padrone di casa; sembrava contento quando gli riusci' di saziare i convenuti, sorrideva udendo i grugniti a bocca piena di chi ancora non aveva fatto il pieno; sorrideva sempre ed era contento come se quella fosse casa sua, come se noi fossimo i suoi ospiti.
Pensai che puoi ben conoscere un uomo se solo riesci a cogliere la stima e il rispetto e la collaborazione che gli offrono le persone che gli girano attorno; pensai che quell'uomo fosse un buon amico del padrone di casa.
Quall'uomo era assorto ed attento quando nel tardo pomeriggio lui e il boss raccolsero gli avanzi e si prodigarono per cancellare le tracce del passaggio dell'orda famelica; due amici solidali, pensai; pensai anche alle donne dell'isola, quelle donne che si strappano i capelli quando il Padreterno vi fa un fischio e vi richiama a casa, quelle stesse donne che non vi risparmiano una violenta strapazzata se solo lasciate in disordine dopo aver fatto bisboccia con gli amici; sissignore, dovevano essere amici quei due.
Lo spiazzo si era quasi spopolato quando mi dicisi ad avvicinarmi alla moderna dacia.
Mi era stato segnalato il "posto delle volpi", volli onorarlo aspergendolo della preziosa urea che ciascuno di noi produce e stoltamente disperde in una tazza porcellanata, negandola alla madre terra che tanto ne profitta; la coscienza ecologica si diffonde per le vie piu' impensabili, nevvero?
La rivalutai la moderna dacia quando scorsi i moderni bisoli ricavati dal tronco pieno di qualche vecchio albero, bisoli che mi accolsero nell'ombra del tramonto; i vecchi alberi sono come i vecchi uomini, non respirano piu' nel mondo e non adombrano piu' nessuno e si perdono nel fitto del sottobosco o riposano all'ombra di nuova vita.
C'erano delle foto appese ai muri di legno della dacia, foto circondate da una sottile cornice incapace di trattenere il loro impercettibile dilatarsi indietro nel tempo; quelle foto avevano le tonalita' del colore del tempo passato, altre avevano il colore del tempo non ancora terminato.
In una foto notai la giovane schiena e l'infantile collo dello stesso boss che qualche anno appresso mi avrebbe generosamente concesso un altro punto di vista scavando solchi nel mare scuro, spalancando la manetta del gas, con una smorfia arcigna sulle labbra sotto gli occhi nascosti da cristalli scuri; in quella foto vidi mantenuta la promessa del tempo, il tempo necessario a ciascuno per allungare le proprie radici e la propria fronda, a cercare la vita e a proiettare ombra.
Scelgo questa canzone perche' ha le sonorita' giuste, le stesse note che mi parve di udire fra il sussurro del fogliame dei due alberi, l'abete e la sequoia, sotto cui consumammo gli ultimi minuti prima di dividerci; la stessa fragranza che mi riusci' di percepirea nell'aria fresca di fine giornata fra le volute di fumo dell'ultima sigaretta consumata prima di chiudere il cancello alle nostre spalle.
Scelgo questa canzone perche' termina guadagnando in ritmo e leggerezza, lo stesso ritmo delle nostre due vetture impegnate nella lunga discesa prima di separarci alla fine di una lunga ed immaginaria linea di sutura che fini' per dividere le nostre strade.
Scelgo questa canzone perche' termina con un invito alla danza, la stessa danza a 50km/h di cui parlavo qualche tempo addietro su queste stesse pagine, quella danza su gomma che mi e' sempre piaciuto ballare con uno sterzo in mano, quella danza che abbiamo ballato da soli lungo la stessa strada, tu davanti, io dietro.
StingSting - They dance alone