Bell'adesivo, castello e palmizi, sembra un posto da favola zu Vice'.
Per certi versi per me lo e' sempre stato, una specia di traguardo; adesso te lo racconto per bene che, l'avrai capito, non sono buono a fare nient'altro.
Per dieci anni ho frequentato Palermo citta', almeno due volte al mese.
L'azienda mi aveva affibbiato una P@nda Van 1.3 diesel nuova di zecca, era una favola, 34 giovani puledri a 4000 giri/min, una signora vettura, l'unica che abbia mai guidato costantemente a tavoletta, diversamente non si riusciva a farla camminare oltre i 30 l'ora.
Posso citarne la targa, ME 515545, lo posso fare, ignoti gentiluomini la diedero alle fiamme, povera bestia, per ignoti e probabilmente futili motivi, in illo tempore; riposa in pace vecchia e fedele carcassa.
A quei tempi l'autostrada (ME-PA per i messinesi, PA-ME per il resto del mondo) era incompleta, il primo troncone ti portava fino ad Acquedolci, il secondo troncone ti portava da Cefalu' fino alla conurbazione di Palermo Capitale (ai palermitani piace sentirselo dire, tenetelo a mente).
Tutto quello che stava tra Acquedolci e Cefalu' era una lunga teoria di posti senza tempo che avevo imparato a riconoscere allo sguardo pur senza mai frequentarli, senza mai arrestare la corsa della macchina, sempre con l'occhio sulle lancette dell'orologio.
Non ho mai patito i ritmi serrati della vita moderna, non mi e' mai pesato il dovermi trovare ad una certa ora in un certo luogo, il dover ubbidire alle stringenti logiche aziendali subendole da sottoposto.
Ho sempre avuto una ricca vita interiore, c'e' sempre stata qualche musica che mi girava in testa e di spazio per immagini e situazioni ne ho sempre avuto in abbondanza, dentro al cranio; me ne accorgo oggi che mi sembra di infilare le mani in un sacco senza fondo e ne viene fuori sempre qualcosa.
Fra Aquedolci e Cefalu' le strade si ricordano i borboni, strette come si conviene alle periferie agricole, tanto tortuose da essere affascinanti, obbedienti ai capricci dei rilievi montuosi e delle fiumare; strade belle, strade amiche, strade umane, che gli spaccamontagne all'epoca non esistevano, l'umanita' era sincera, umile ed ubbidiente.
Strade stimolanti; ricordo che ingranavo la terza marcia e puntavo il muso della p@anda contromano, poi schiacciavo a tavoletta e la bestia fedele e prevedibile mi portava fuori dalla curva perdendo aderenza all'avantreno, riportandomi nella mia corsia in tempo per ingranare la quarta e ributtare a tavoletta; mi sembrava di ballare, a 50 l'ora, che per indole mi son sempre accontentato di poco, per dirla all'uso antico:
u picca m'abbasta e u giustu mi suvecchia.
Il traffico pesante era un problema, i camion, anche quelli di piccolo tonnellaggio, occupavano per intero la corsia di marcia e, a meno di avere cento e passa purosangue sotto al cofano, te li dovevi tenere davanti; non che mi pesasse la lentezza dei mezzi da lavoro, era proprio che mi toglievano per intero la visuale e a me e' sempre risultato intollerabile vedere il mondo che corre via dal finestrino, bello o brutto che sia, il mondo, a me piace puntarci il naso contro.
Lungo la strada borbonica i rettilinei da mezzo chilometro si contano sulla punta delle dita e, a conti fatti, a me sembravano sempre troppo lontani; in ogni caso la mia "545" non mi avrebbe permesso accellerazioni cosi' brucianti da togliermi d'impaccio in meno di mezzo chilometro.
Non l'ho mai biasimata per la sua lentezza, la mia "545", lo giuro; "e' tutto a posto, ciccia, a me stai bene cosi' come sei" le dicevo, e ingranavo la quinta per farla riposare.
Col tempo imparai a seguire con lo sguardo le curve e le controcurve del percorso e appena ne individuavo una sequenza libera, ricordo, mi si rizzava il pelo e mi cominciavano a prudere le mani.
"Fidati" mi sussurava la bestia, e io mi fidavo; buttavo la sinistra sul braccetto nero della freccia e spingevo a tavoletta la terza e la "545" mi portava dentro la curva contromano e mi accompagnava davanti al muso dell'IVECO che mi aveva accecato fino a quel momento.
"Brava, Ciccia" sussurravo, accarezzandole lo sterzo e regalandogli la quinta marcia; se sto qui a scrivere e' perche' la "545" non mi ha mai tradito; se pensate che le macchine non abbiano un anima, bene, raccontatelo a qualcun'altro, non a me, io so che vi sbagliate.
Il camionista sconfitto sfanalava.
Una sfanalata: "non dovresti rischiare".
Due sfanalate: "curnutu".
Tre sfanalate: "figlio di donna senza pudore".
Ulteriori sfanalate e strombazzate rabbiose, bene, in quel caso l'avete fatta davvero grossa.
I camionisti lungo le strade borboniche sfanalano e strombazzano, tenetelo a mente, ai camionisti piace essere tenuti in considerazione; salutateli con la mano, tutta la mano, senza fare emergere alcun dito in posizione eretta; tante volte lungo le strade borboniche il traffico si ferma senza che voi possiate scappare, tra uno strapiombo a mare ed un dirupo pietroso.
C'e' qualche breve rettilineo e una lunga serie di curve che stuzzicano il sorpasso prima di arrivare a S. Stefano di Camastra, e ci sono altri rettilinei anche dopo la suddetta ridente cittadina, tuttavia credo che, se avete donne in macchina, la voglia di correre vi sara' passata.
S. Stefano di Camastra produce e vende ceramiche, il paese, gli abitanti ci si adeguano, e passano la vita ad impastare ed infornare argilla.
Io non conosco nessuna donna in grado di frenare l'impulso all'acquisto davanti a delle ceramiche dipinte e quei cornuti dei paesani ve li espongono fino al centro strada, dovete rallentare se volete scansarli e a quel punto le vostre donne stanno gia cominciando a dare di matto.
Il vantaggio di S. Stefano di Camastra e' che e' riconoscibile da lontano, avete tutto il tempo di bendare le signore o di colpirle allo scopo di far loro perdere i sensi per qualche minuto, e' un paese piccolo e ne venite fuori in men che non si dica.
Alle 6:45 arrivavo agli attraversamenti ferroviari, dieci chilometri prima di arrivare alla rocca; buttavo gli occhi e il cuore in mare perche' a quella longitudine Alicudi e Filicudi, invisibili da casa mia, emergono dal mare illuminati dal sole del primo mattino.
Dalle nostre parti funziona cosi', non ti puoi perdere, c'e' sempre qualcosa per terra e per mare, e ti senti chiamare da tutte le parti e non sai a chi dare retta per primo e se e' vero che non ti perdi e' anche vero che ne rimani sempre confuso e ti rimane sempre la sensazione di esserti perso qualcosa.
La rocca di Cefalu' e' sempre piena zeppa di tedeschi, e di tedesche, e che tedesche ..., di quella razza bionda che le cosce gli cominciano sopra l'ombelico, di quella razza robusta che vanno in giro seminude anche d'inverno, di quella razza prosperosa con certe poppe che ti sembra di poterci appendere il soprabito senza recargli eccessivo disturbo.
Il vantaggio di Cefalu' e' che riconoscibile da lontano, avete tutto il tempo di bendare i vostri accompagnatori maschi o di colpirli allo scopo di far loro perdere i sensi per qualche minuto, e' un paese piccolo e ne venite fuori in men che non si dica.
Alle 7:00 puntualmente ed invariabilmente la "545" affrontava le curve che si arrampicano sul versante est della rocca, popolato di pini e odoroso di resina, invariabilmente azionavo la freccia di sinistra proprio prima di scollinare, invariabilmente mi arrestavo al bar sulla sinistra, mi fermavo nel bar di cui non ricordo il nome, invariabilmente attendevo che bestia staccasse la ventola prima di togliere le chiavi dal quadro.
Alle 7:00 del mattino chiudevo la portiera e mi scollavo i pantaloni dalle chiappe, la "545" aveva i sedili di plastica e nient'altro.
Alle 7:00 del mattivo ordinavo panino con cotoletta di pollo e 33cl di birra, che Dio lo sa se me l'ero meritata, sveglio dalle 4:00, con tutta quella sicilia dietro le spalle, con tutta quella musica che mi risuonava muta nella mente, con tutte le carezze elargite alla mia cavalcatura, con tutte quelle gomme lasciate nelle curve maschiamente affrontate.
Alle 7:05 la mia avventura finiva con un ruttarello sommesso regalato alla cima dei pini, ai vacanzieri d'inverno e d'estate, al mare e alle isole, ai camionisti e alla strada, ai monti e alle fiumare.
Alle 7:05 diventavo un lavoratore stipendiato che si fa un punto d'onore di essere in cantiere alle 8:30 esatte e a 300km da casa, e mi lanciavo senza musica e senza fantasia lungo gli anonimi 80km rimanenti d'autostrada.
Se vi capitasse di affrontare qualche tratto di carrozzabile borbonica, io fossi in voi non mi lascerei scappare l'occasione; magari vi portate a casa qualche diapositiva e, se avete uno stereo all'altezza, allora
http://www.2cvclubitalia.com/public/smf/index.php?topic=364.msg186047#msg186047Bye. Mimmo.